1996 - Usare la memoria. In "Leggendaria", 1996, 14

12 Aprile 2017

 

Negli ultimi venti anni del secolo scorso, avvengono cose straordinarie per quel che riguarda la coscienza e la scrittura femminile.

Qualche esempio:

- nel 1882 Aurelia Folliero De Luna Cimmino pubblica Questioni sociali;

- nel 1884 Caterina Percoto pubblica una delle tante edizioni dei Racconti, Rosalia Piatti pubblica Novelle e studi dal vero, Matilde Serao pubblica Il ventre di Napoli e La virtù di Checchina;

- nel 1885, Maria Teresa Torriani ( Marchesa Colombi) pubblica Un matrimonio in provincia, Elda Gianelli pubblica Sonetti;

- nel 1886 Maria Savy Lopez pubblica Casa Leardi; Anna Zuccari Radius (Neera) pubblica Teresa; Fanny Salazar pubblica Uno sguardo all’avvenire delle donne in Italia e fonda il giornale La Rassegna degli interessi femminili, Evelina Cattermole (Contessa Lara) pubblica E ancora versi;

- nel 1888 Matilde Gioli pubblica La marchesa Alviti, e Grazia Pierantoni Mancini pubblica Donnina.

- nel 1889 Maria Savy Lopez pubblica Leggende delle Alpi;

- nel 1890 viene pubblicato La donna italiana descritta da scrittrici italiane, Atti del Convegno  tenuto all’Esposizione Beatrice di Firenze;

- nel 1891 Fanny Salazar pubblica Antiche lotte, speranze nuove;

- nel 1892 Elda Gianelli pubblica Incontro. Racconti e bozzetti;

- nel 1893 Matilde Serao pubblica Il romanzo della fanciulla;

- nel 1894 Elda Gianelli pubblica Sonetti a Nella; Maria Savy Lopez Leggende del mare.

- nel 1895 Evelina Cattermole (Contessa Lara) pubblica Versi...

 Queste autrici continueranno a pubblicare, assieme ad altre, entrando nel ‘900 amate e seguite dal pubblico contemporaneo, che leggerà anche le opere di Anna Franchi, Paola Lombroso, Eugenia Levi, Dora Melegari, e altre, e anche le traduzioni fatte da donne di autori come Spencer o Tolstoy.

Stiamo elencando opere di grande cultura, di grande bellezza letteraria, che dimostrano non solo consapevolezza e sapienza nell’uso di tematiche attribuite tradizionalmente alle donne, ma nella pratica della vita, partendo dal punto di vista femminile, come già avevano fatto altre autrici degli anni precedenti..

Le scrittrici italiane dell’800 furono tali, scrittrici a pieno titolo, perché iniziarono a formalizzare nella scrittura quella rivoluzione, in atto in quegli anni,  riguardo alla qualità dell’uso dello spazio e dunque dello spazio stesso. Esse compresero che per prima cosa bisognava partire (e partirono) dal diventare il soggetto. Ciò significò, in poche parole: partire dal proprio corpo e dunque dal proprio sguardo. In questo modo rappresentarono le cose viste dal punto di vista delle donne e spinsero altre a questo spostamento di prospettiva.

Gli antagonismi che misero in campo mirarono essenzialmente a porre se stesse in un altrove, in un luogo dove il corpo fosse visibile così come lo percepivano esse stesse. Decisero cioè che, per prima cosa, non bisognava lasciare che l’immagine che l’altro si era costruito potesse pesare su di esse, sui loro comportamenti, sui gesti, sulle scelte. Tanto chiara era la coscienza che altrimenti il proprio essere sarebbe dipeso, sarebbe stato fatto,  dallo sguardo esterno. La denuncia di quanto lo sguardo dell’altro pesi sul comportamento femminile, sulla sua coscienza, sulla sua autonomia, è portata avanti e svelata da tutte le scrittrici che operarono in Italia tra la fine dell’Ottocento e i primi del ‘900. Penso per esempio alla Marchesa Colombi e alla sua nitidissima analisi, in “Un matrimonio in provincia”, circa i modi e le motivazioni dell’innamoramento di Denza per Onorato. Penso a Fanny Salazar, altra scrittrice e giornalista di primo piano, che lottò per la libertà di lavoro delle donne, per la libertà di potersi mostrare, di usare il linguaggio che più fosse loro congeniale, ammonendo le stesse donne a non guardarsi con lo sguardo dell’altro.

Anche lo svelamento del peso paralizzante dei valori tradizionali viene portato avanti dalle scrittrici di quegli anni, le quali, ciascuna a suo modo, introdussero nella letteratura italiana delle tematiche mai toccate, come quella del matrimonio come contratto, dell’orrore della guerra in assoluto, della parte importante che ebbero le donne nel processo post unitario di trasformazione economica e sociale, del loro apporto al sistema educativo e scolastico. Ciascuna di queste scrittrici seppe usare le sue inclinazioni per portare avanti un discorso comune. Si pensi a Matilde Serao che, in La virtù di Checchina, apparentemente limitandosi a raccontare un fatto (come voleva il verismo di quegli anni), svela la natura reale della tanto decantata “virtù” piccolo e medio borghese di quegli anni. In Terno al lotto, recupera il femminile non solo come valorizzazione di autonomia e autostima, ma anche di sensibilità, presenza, attenzione alle cose davvero importanti. Neera attaccò radicati e stucchevoli luoghi comuni riferiti alle donne: la vergogna di essere zitella, la dipendenza dal padre-padrone, la sudditanza sentimentale della donna matura nei confronti del giovane amante. La Marchesa Colombi osò creare uno scenario femminile totalmente altro dall’immaginario maschile di quegli anni e dimostrò come l’amore sia un dono, una capacità femminile. Grazia Mancini, raccontando la sensibilità di una sposa bambina, rappresenta vivamente il suo piccolo corpo, sottoposto al variare delle esperienze che le toccano: il matrimonio precoce, l’abbandono, la ribellione, la sottomissione e la sconfitta. Matilde Gioli racconta la crescita della coscienza di una donna che, da donnina tradizionalmente viziata e relegata ad un ruolo di intrattenimento, diviene adulta e fa le sue scelte anche per quel che riguarda la vita sentimentale.

A questo punto bisogna ricordare, spostando la nostra attenzione sulla letteratura tradizionale (maschile) di quegli anni, quali miti si accampassero nella mentalità e nei comportamenti della classe media italiana. Bisogna ricordare che Cuore, di De Amicis, è del 1886, che Pinocchio, di Collodi, che aveva già, nel 1876, pubblicato Giannettino, è del 1880; e che in questi anni si va affermando una letteratura (Pratesi, De Marchi...)  che rappresenta, e che finisce per glorificare in qualche modo la squallida realtà quotidiana della piccola borghesia italiana, afflitta da incolmabili complessi di inferiorità e insieme di risentimenti nei riguardi dell’aristocrazia, e  che finisce per risolversi, nel migliore dei casi, con l’edificazione moralistica della tanto decantata “onestà”, che da tante, dalla Serao alla Marchesa Colombi, viene svelata come scelta d’obbligo e non d’elezione ideale. Bisogna ricordare che questa è l’epoca della “crisi dell’intellettuale”, della fine delle illusioni messe in campo durante il Risorgimento, dello scontro con la politica da parte di tanti che alla politica si dedicarono e nel Parlamento andarono a verificare quanto fosse romantico il Romanticismo. Bisogna ricordare le tipologie dei personaggi maschili (bellissimi eroi disillusi e pateticamente cinici o squallidi impiegatucci) e quelle dei personaggi femminili, rappresentati nella letteratura maschile: il pallore e la fragilità sono caratteristiche comuni a quasi tutte le donne presentate dai vari Ruffini, Tarchetti, Onufrio, Oriani, senza dire di d’Annunzio. Continuano imperterrite le eroine un po’ più smaliziate a morire di parto, di tisi o a giacere oppresse da spleen. Tutte piuttosto ignoranti, quelle che svettano per le capacità intellettuali sono nevrotiche. Bisogna ricordare che la letteratura, anche quella progressista, le descrive, oltre che come stupide o perfide, come madri pronte al sacrificio o come spose purissime o come animali per loro fortuna incapaci di pensare (e di soffrire come l’uomo che è invece molto intelligente, e soffre). Bisogna ricordare che, anche quando qualche autore, sempre “progressista”,  le spinge alla libertà sessuale, non affronta per niente i problemi riguardanti l’autonomia economica, il riconoscimento delle scelte, il rispetto. E bisogna ricordare che ancora le donne non votano, ancora non hanno piena autonomia giuridica, ancora non hanno scuole. Bisogna ricordare che mentre gli scrittori popolari o populisti o rivoluzionari, pur andando contro la mentalità corrente, sono comunque portavoce di un gruppo sociale, se non di una classe, hanno credito, sono sostenuti insomma,  le donne, con le loro prime apparizioni pubbliche, suscitano dissensi e condanne, a volte nelle loro stesse famiglie, tra le loro stesse amiche. Le loro iniziative, giornali, inchieste, trovano pubblica e maligna spiegazione solo nella loro volontà di farsi notare, e scempiaggini simili. E’ nel confronto con questo scenario che l’azione intellettuale e rivoluzionaria delle nostre scrittrici viene colta in pieno. Del resto una rapida occhiata, non solo alla scrittura più puramente letteraria, ma anche a quella saggistico-giornalistica di queste scrittrici, ci aiuta a capire meglio la funzione intellettuale e politica che svolsero nel loro tempo. A tre di loro (Grazia Pierantoni, Fanny Salazar, Aurelia Folliero De Luna) proprio su questo giornale ho dedicato pagine tese a dare almeno una pallida idea della loro statura. Qui aggiungerò che anche la Serao, per esempio nel Ventre di Napoli, scrive pagine importanti e di viva denuncia. Nel 1884 c’è stato un terremoto che in pochi giorni ha provocato più di 6.000 morti. De Pretis, giunto a Napoli, decide: sventrare Napoli e Matilde attira l’attenzione su che cosa significhi effettivamente quella espressione, su cosa sia effettivamente quel “ventre” di Napoli. Più tardi, sul Giorno denuncerà, con argomenti e modalità attuali e dunque moderni, che si è speculato, attaccando sindaco e assessori, perché le case costruite per il popolo, il cosiddetto Risanamento, sono andate a tutti tranne che al popolo, essendo troppo care.

Tutte queste scrittrici, dunque, diverse l’una dall’altra come ciascuna donna è diversa dall’altra, ebbero in comune un punto di vista: quello femminile. Ebbero in comune il fatto di usare come protagonista una donna, spesso delle donne, e il suono della loro scrittura mutò, si aprì in a e in e. Ebbero in comune il desiderio di vincere le paure e di mostrarsi. Ebbero in comune i nemici. Ebbero insomma in comune il fatto di essere tutte “impegnate”. Tutte furono portatrici di trasgressione (nel senso ovviamente di “andare oltre” e non di “fare scemate o volgarità” come si crede oggi quando si usa la parola “trasgressione”). Nell’800 le lettrici e le scrittrici erano eversive. Leggere era eversivo, scrivere lo era il doppio, mostrarsi in pubblico non ne parliamo. Queste scrittrici furono “impegnate” perché ruppero i canoni, nella vita e nella scrittura, attaccarono i luoghi comuni, in modo più o meno vistoso (raramente colto dai lettori uomini, incapaci di leggere le citazioni e l’ampiezza del discorso femminile), si mostrarono in pubblico, vissero vite coerenti con il loro scrivere. Così, ciò che dicevano e scrivevano  non poteva che essere immorale (nell’accezione usata da Eco riferendosi ai grandi maestri della letteratura).

Ma allora, mi si chiederà a questo punto, se davvero stanno così le cose, se davvero queste nostre madri erano lì “presenti e vive”, in che modo è stato possibile rimuovere le loro presenze, renderle invisibili, cancellarne la memoria? A questa domanda stiamo rispondendo da anni, quelle di noi impegnate a ricostruire la memoria storica del  patrimonio che abbiamo alle spalle. Qui dirò solo che è servito lo sguardo nostro, di donne degli anni ‘70, a volere e a saper leggere le scritture delle donne dei secoli scorsi. Perché, ciò che è mancato per tanto tempo, in Italia, lo ripeto da tempo, non sono state le scrittrici, ma le lettrici, le buone lettrici, quelle che svelassero il senso della scrittura femminile, e quelle pronte a sostenere i libri prediletti.

In realtà, negli anni di cui qui si parla, le case editrici scoprirono che il pubblico era formato da lettori esistenti e lettrici possibili. Cioè che gli uomini non erano l’orizzonte a cui rivolgersi per aumentare le vendite, sì invece c’era gran parte dell’universo femminile da coinvolgere. Il nuovo pubblico era ed è femminile. Questa attenzione da parte degli editori in quegli anni, questa attenzione al fenomeno della scrittura femminile, voglio dire, e questa ricerca del pubblico femminile, mentre da una parte aprì le porte alla memorizzazione della scrittura femminile, in qualche modo trattenne, per motivi e con modi troppo lunghi da trattare ora, nell’ambiguità il lavoro delle donne che scrivevano. Procrastinò, in Italia, quella posizione che ho definito altre volte campo di ambiguità tra il fascino dell’omologazione che confermava il bisogno di “sentirsi uguali” (pari all’uomo) e la percezione della differenza, la ricerca della propria soggettività. Questa questione, che siamo riuscite a cogliere con chiarezza nel passato, è oggi ancora aperta. Anche oggi il pubblico in crescita è quello femminile. Anche oggi le scrittrici, per essere tali, devono muoversi tra due necessità: quella di conquistare spazi e quella di segnarli. Ancora non è sciolto questo nodo che vede strettamente intrecciate le ragioni dell’esistere con le ragioni che pretendono altro da questo esistere. Ecco perché tante volte i nomi di donne nelle classifiche dei libri più venduti a me dicono poco. Perché in alcune di quelle opere c’è sempre minor invenzione e scarto e c’è sempre più ricerca dello spazio individuale, del costituirsi in quanto fenomeno. Eppure, quando queste scrittrici sono attaccate in modo volgare, a me prende una gran rabbia, perché sono attaccate in questo modo giusto perché donne. E se loro ne hanno coscienza, dovrebbero rifletterci un po’.

Ma, si dirà, non accade in qualche modo anche per gli scrittori? A parte la differenza di genere, non c’è anche per loro il problema di doversi muovere tra omologazione e invenzione? Sì, ma le donne, qui è il punto, hanno una forza in più (se la usano): hanno, come abbiamo dimostrato, una tradizione intrinseca di impegno, di immoralità, di eversione. E’ su questa linea che, credo, potremo essere vincenti. Ed è (anche) per essere vincenti che abbiamo lavorato (che lavoriamo) a ricostruire la nostra Memoria.

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