2001 - Scrittrici campane (Leggendaria)

25 Aprile 2017

 

                                                     Scrittrici campane (in Leggendaria 2001)

Lo scorso Maggio ho pubblicato Piccola Antologia di scrittrici campane (Napoli, Intramoenia, 2001) dove ho cercato di creare un primo percorso di lettura della produzione femminile in Campania tra 800 e 900. Qualche tempo fa ho scritto un Saggio “Scrittrici” che farà parte del volume Napoli e la  Campania nel  900 a cura dell’Istituto Croce e dell’Università di  Napoli.

Entrambi questi lavori, frutto di una ricerca portata avanti da anni[i], mi hanno posto di fronte un problema inedito che si ripresenta ora per questa breve nota: quello di verificare la possibilità di ritagliare connotati specifici di “cultura campana”. E questo, non solo per avviare una “mappatura” della produzione letteraria femminile, e ricostruire, sistematicamente, regione per regione,  il ricco e complesso scenario dell’attività letteraria in Italia (fortemente penalizzato quando in esso non vengano incluse le azioni e le relazioni delle donne), ma anche per interrogarsi sull’azione culturale compiuta sul territorio dall’opera delle autrici, al fine di individuare il loro ruolo intellettuale e formativo, oltre che creativo, e per interrogarsi se e in che modo quello che viene chiamato il “genius loci”, l’humus di una cultura (ma anche i caratteri locali legati a fattori politici, economici, produttivi, di organizzazione sociale, eccetera), abbia influito sul destino delle artiste e delle intellettuali del 900.

Va subito precisato che è difficile in generale riferirsi ad una “cultura campana”: è infatti rarissimo trovare cenni sui “Campani” (come avviene per i Lombardi, i Veneti, i Piemontesi, i Toscani, i Calabresi, i Siciliani e così via) e tanto  meno sulle “Campane”. Le ragioni storiche, politiche, culturali, che spieghino il salto da definizioni precise e circoscritte (Napoli, i Napoletani, la così detta napolitudine...) alle dilatazioni (il Sud, i Meridionali, eccetera) sono tante e qui  mi limito a dire che anche per le scrittrici ci troviamo di fronte al fatto che Napoli, per tanti motivi, soprattutto per i secoli passati, è stata (in qualche misura lo è ancora) punto di riferimento, metafora dell’attività di un territorio molto ampio.

C’è un ulteriore motivo, per noi molto significativo, che spiega la difficoltà di circoscrivere caratteri regionali della produzione femminile, ed è che appaiono chiare ed evidenti, a livello nazionale, le comunanze tra le scritture delle donne, di ieri e di oggi: l’appartenenza di genere è più forte dell’appartenenza geografica. E questa è un’ulteriore riprova del fatto che, sia pure all’interno del campo d’ambiguità, la produzione femminile è sempre stata, in qualche modo, eversiva e insofferente dei canoni tradizionali. Sta nei fatti che tematiche, ignorate dallo sguardo maschile e invece affrontate dalle scrittrici a livello nazionale, si rispecchiano l’un l’altra, a qualsiasi regione appartengano le autrici, e si confermano, si approfondiscono e si articolano grazie ad una coscienza di genere vivissima già nei secoli passati. Ma naturalmente bisogna considerare il fatto che la scelta delle tematiche, nascendo dallo sguardo (di genere) di ciascuna scrittrice sul proprio vissuto e sul proprio territorio, pur risultando trasversale a livello nazionale o anche internazionale, possiede origine e ricaduta “locale” (più o meno incisiva, dovuta a fattori che esulano ora dal discorso).

Si pensi alla capacità di accoglienza, nelle loro scritture, delle problematiche inerenti la condizione delle donne, e alla funzione intellettuale e politica che svolsero, a livello nazionale ma anche precisamente sul loro territorio, tra gli ultimi decenni dell’800 e, alcune, i primi del 900, le napoletane Aurelia Folliero De Luna [ii],  Fanny Salazar[iii], Grazia Mancini Pierantoni[iv], Maria Savi Lopez[v], Matilde Serao[vi]. Scrittrici e intellettuali molto diverse tra loro, alcune di esse in relazione non solo a livello nazionale, ma internazionale con scrittrici, intellettuali, movimenti e giornali femministi, scrissero, con un chiaro sguardo femminile, romanzi, diari, racconti, favole. In più viaggiarono, tennero conferenze, sensibilizzarono donne e uomini a problemi come la prostituzione, la violenza sulle donne, il rapporto con le Istituzioni, la violenza di ogni guerra. Si occuparono di educazione delle donne, affrontarono battaglie sul diritto di voto,  fondarono e diressero giornali, insomma crearono una storia necessaria alla coscienza femminile moderna perché allusero sempre di fatto a una rete fortemente segnata dal genere e dalla soggettività femminile. Accanto a questo essere soggetti nomadi, alla ricerca continua di verità e di risposte, esse mostrano una forte sensibilità nei confronti dei problemi e della ricchezza culturale della loro (e nostra) terra. Questo doppio delle loro scritture e delle loro culture di formazione (la propria terra e la cultura d’origine e la curiosità e i legami con le scritture e le culture femminili nel mondo), dovrà essere tenuto presente sempre. Perché, in qualche modo, tornerà e segnerà tutta la produzione femminile fino ai nostri giorni, tanto che nel leggerla, bisogna fare esercizio di messa a fuoco dello sguardo, ora profondo su oggetti vicini, ora allungato e allargato nel campo visivo.

Compiutamente coscienti della propria condizione di donne, di meridionali, di appartenenti a quella fascia tra ari­stocrazia illuminata e borghesia intellet­tuale che determinò i modi del processo di formazione dell'Italia (e che delimitò gli spazi per le donne eppure comportò anche che esse ne conquistassero), le scrittrici citate danno prova, grazie a letture del reale per molti aspetti inedite (se confrontate con quelle degli scrittori), di un meridionalismo molto interessante, inteso come capacità di riconoscimento/recupero e valorizzazione di identità e di segni distintivi della cultura dei loro territori, anche al fine di una relazione forte con gli altri paesi e con il mondo.

Si pensi a tante pagine del Diario di Grazia Mancini sulla laboriosità del popolo meridionale (napoletano), sulla incomprensione da parte del Nord di cosa sia effettivamente il brigantaggio, sulle umiliazioni più volte inflitte a una tradizione tanto nobile e antica come quella napoletana, alle pagine in cui Grazia si interroga sull’opportunismo delle clientele politiche e sull’opportunità di certi incarichi istituzionali che a lei appaiono molto criticabili. Anche Fanny Salazar, nei libri dedicati a Napoli e alla sua cultura, legge con sguardo fermo e coerente una realtà sfaccettata e ricca di problemi ma anche di saggezza antica, e con le sue azioni (le conferenze, l’impegno politico e culturale, la separazione dal marito) oltre che con le opere, riuscì a crearsi un pubblico e una cerchia di donne che a lei si rivolgevano e che la sostenevano. E Matilde Serao, riferendosi a Napoli, legge il degrado come frustrazione dell’operosità, che è propria del popolo meridionale. Matilde, inoltre, nei suoi scritti porta avanti un discorso molto ampio e presenta prese di posizioni inedite nella letteratura: la denuncia ferma dell’usura e della presenza della camorra, della corruzione delle Istituzioni, della ipocrisia del Potere, della avidità dello Stato, non semplicemente assente ma complice di operazioni illecite, sono elementi centrali dello scenario che Matilde rappresenta e che ancora è utile per comprendere il formarsi di mentalità oggi incancrenite. Matilde ha la capacità di cogliere il doppio della cultura meridionale: per esempio le ragioni dell’affidamento al gioco da parte del popolo napoletano con le sue tragiche conseguenze, la mentalità del “campare alla giornata” , fornendo importanti chiavi di lettura per comprendere come, sulla base di bisogni o di desideri di gente comune (che però costituiscono anche i primi segni della “società dei consumi”), prosperi l’usura e la camorra allarghi il giro degli affari, ponendosi entrambe come (illusorio e ingannevole) riferimento per quanti senza queste “istituzioni” non saprebbero a chi rivolgersi. Matilde è anche la prima a cogliere quella specie di reificazione del divino, quell’atteggiamento alla pari che il popolo napoletano mantiene con la sfera del sopra naturale[vii]. E infine Matilde coglie e rappresenta il doppio della condizione femminile nella cultura meridionale: la condizione di forte ricatto e dipendenza (alla quale comunque si può, lei sostiene, e si deve ribellarsi costruendosi alternative) e la centralità della figura femminile.

Nei romanzi degli uomini, e in tante  indagini sociologiche (sempre dal punto di vista maschile), ancora oggi delle donne meridionali vengono rappresentate unicamente le debolezze, le dipendenze, le violenze subite. Nelle opere di Matilde (e anche in questo precederà la coscienza ora chiara delle scrittrici moderne), le figure femminili svolgono un ruolo fondamentale: esse sono sì vittime del Potere pubblico (maschile) e privato (padre, marito, amante), ma, a conti fatti, sono le attrici: nel senso che esse agiscono, si prendono cura, operano, pensano, soffrono, fanno e qualche volta rimediano. Sono loro i soggetti e attorno, al fondo, di lato, ci sono i personaggi maschili, i quali, in genere, sono o deboli, o avidi, o pazzi.

Scelta di sguardo sessuato e meridionalista è pure segno distintivo di un piccolo numero di storiche che, sia pure a volte con ingenuità, si interrogano sulla storia di Napoli, rivisitando la storia di donne importanti, di intellettuali straordinarie come Eleonora Pimentel Fonseca, o di donne di potere, demonizzate dalla lettura nordica e maschile, come la regina Carolina di Borbone. Per esempio, fuori dalla collocazione dai canoni tradizionali, a metà tra biografia e romanzo è Eleonora De Fonseca Pimentel (1935), di Bice Gurgo, libro interessante, nonostante i difetti, anticipazione della storiografia dal punto di vista delle donne. Raccontare la vita di Eleonora è anche occasione per ricostruire un ambiente, citando nomi e personaggi, colti nel loro fare quotidiano: Galiani, Jerocades, Teresa Fieschi Filangieri, la massoneria, Luisa Sanfelice, gli intellettuali del 99. E per  raccontare il re e la regina, nella loro relativa apertura dei primi anni (e nella crudeltà dei successivi), così che comprendiamo  il perché delle illusorie speranze, nei primi tempi, di Eleonora e di altri intellettuali dell’epoca. Bice sottolinea anche la tracotanza dei Francesi a Napoli, ricorda la distruzione della ribelle Andria da parte di Ettore Carafa, e ci presenta Eleonora, donna generosa e appassionata, travolta dalla politika degli altri, di quelli meno generosi e altruisti di lei e fortemente critica anche nei confronti delle violenze, convinta della necessità del ruolo educativo e formativo dei rivoluzionari. Questo libro, allora, al di là del giudizio più strettamente storico e politico, dà ancora oggi la spinta a cercare risposte più articolate e che meglio spieghino, per esempio, la distanza del popolo dalla Rivoluzione. Domande “moderne” e inquietanti pone anche Amalia Amadei Bordiga  che pubblica negli stessi anni Maria Carolina d’Austria e il Regno delle due Sicilie. Vicina a Beatrice, per il taglio, per lo sguardo, per l’andamento narrativo e per i modi della ricerca, fuori dai canoni dei generi letterari, questa biografia, che sembra un romanzo, non vuole, come è precisato nella Prefazione, “riabilitare Carolina, ma leggerla come donna, madre, sovrana, che, troppo eccessivamente la Repubblica del ’99 demonizzò”. Nella rivisitazione, che tocca Carlo III e sottolinea sue responsabilità che non sempre gli storici gli hanno attribuito, Tanucci e il rapporto con Ferdinando e poi con Carolina, le leggi promosse dai Borboni, le figure degli intellettuali, ma tocca anche certi momenti significativi come il processo e la condanna di Vitaliano, Galiano e De Deo, il rapporto tra Carolina e Lady Hamilton, eccetera, l’impegno centrale da parte di Amalia è studiare la terribile regina cercando di capirne i processi mentali e le motivazioni dei suoi comportamenti.

Accanto a queste figure esemplari, molte altre intellettuali e studiose svolsero una funzione culturale profonda sul territorio, lungo l’arco del 900 (e alcune fino ai giorni nostri), punto di riferimento per le donne degli anni successivi. Cito tra le tante per lo meno Emilia Nobile[viii], M. Antonietta Pagliara[ix], Claudia Ermelinda Pappacena, Olga Arcuno, Marussia Bakunin, Alda Croce, Elena Croce, Cecilia Dentice di Accadia[x], Guerriera Guerrieri...

Oggi le intellettuali svolgono il loro ruolo nelle Università, nelle Associazioni culturali, nelle Librerie. Leggendaria ha presentato il Centro Adelaide Pignatelli per gli Studi Storici-Religiosi sulla Donna, (dic. 2000), L’archivio delle donne dell’Istituto Universitario Orientale,  (febbraio 2001), l’Associazione culturale Evaluna-Libreria delle donne, (aprile 2001). Tra le iniziative più recenti: all’Università di Napoli, Federico II è in corso un importante Master in Women’s Studies, per esperte/i in Pari Opportunità, tenuto da specialiste nelle varie discipline,  organizzato in moduli centrati su: soggettività, potere, corpo, lavoro. Il Comitato scientifico-organizzativo è composto da Laura Guidi, Annamaria Lamarra, Simona Marino, Adele Nunziante Cesaro. L’Associazione culturale L’Araba Felice ha messo in Rete Dominae, Dizionario Biobibliografico delle donne, sul Sito www.arabafelice.com.. La libreria Evaluna organizza premi letterari e Laboratori di lettura, condotti dalla scrittrice Antonella Cilento. Tjna Notarbartolo organizza, da anni, attraverso mille difficoltà , il Premio Elsa Morante. In tutta la Regione fioriscono iniziative, Associazioni, e così via…

“Conservandosi sempre nei geni memoria del passato, della cultura, della tradizione, esistono sempre dei fili di continuità, delle comunanze, al di là di ogni proibizione, di ogni cancellazione. Esistono delle memorie tramandate da madre in figlia, storie di vita, di esperienze, storie fantastiche, che hanno nutrito l’infanzia di tutte quelle che successivamente hanno sentito la necessità della scrittura. Esistono sentimenti, aspettative, desideri, molto più profondi e misteriosamente attivi, anche quando, come nel caso dei  ruoli sessuali, si appartenga a una cultura che ha perpetua una storia di sudditanza. La quale storia reale (letta da una buona lettrice) vede questa sudditanza spesso più di superficie e le donne più compartecipi e complici o autonome di quanto non si sospetti. Il racconto orale, come ho già accennato, è sempre presente nella memoria e nella pratica femminile. Le voci della nostra storia di donne si fanno sentire e la nostra voce le accoglie e le rappresenta, le ripresenta. Dà loro vita”[xi].

Questa breve citazione mi permette di passare ad un altro punto importante che segnalavo all’inizio: se e in che modo, il territorio, la cultura del territorio è presente nelle scritture. E me lo permette, perché racconto orale e linguaggio del corpo sono a mio avviso elementi presenti e determinanti nelle scrittrici campane.

Quando leggiamo le pagine delle scrittrici, in primo luogo il nostro sguardo deve tenere presente il loro sguardo, il loro corpo (il fatto di essere fisicità in un territorio, con  sollecitazioni non solo intellettuali, ma fatte di odori, colori, sapori, corpi), perché essi agiscono sui temi trattati, sulla sensibilità ai problemi o alle energie loro vicine, e agiscono soprattutto sulla scrittura, tanto che il loro linguaggio, in maniera più o meno programmatica, ne è segnato profondamente, dando vita, proprio in quelle che accolgono e nutrono, oltre alla differenza di genere, la differenza culturale-geografica, alle grandi opere. Nella loro opera (nel loro sguardo) c’è il contesto noto (scrittori importanti, giornalisti affermati, eventi pubblici di rilievo) ma anche il mondo che portano in sé, popolato da chiare figure femminili, da tensioni che prendono il cuore femminile, da interessi, da comportamenti, da affetti, da problemi e da passioni che nutrono l’immaginario femminile a partire dal vissuto familiare, dalle esperienze di vita e di cultura fino a ciò che la scrittrice vede nella città, nella strada, nei viaggi, negli incontri, a ciò che legge (scrittori e altre scrittrici), che vede a teatro, che percepisce dai discorsi degli uomini, e dalle loro rappresentazioni. Anche la presenza del pubblico, femminile e maschile, fa parte dello scenario: il pubblico femminile delle scrittrici, abbastanza folto, è composto, prevalentemente, da donne che si sentono in qualche modo  interpretate, rappresentate da chi scrive (esattamente come i lettori si sentono gratificati dalla possibilità di identificazione con il protagonista creato dagli scrittori) mentre tradizionalmente devono convivere unicamente con personaggi femminili creati dalla fantasia maschile[xii].

Il punto è che, se si riesce a recuperare il proprio rapporto col sé, se davvero si scrive di sé e per sé, la scrittrice ha bisogno di recuperare la propria identità e per farlo, ri-crea la propria storia, quella della famiglia, del proprio territorio, del proprio scenario, e si scopre che nella nostra storia del Sud, bene o male, è vero che le donne erano centrali. Ed è vero che il silenzio delle donne o la perdita di identità ha appartenuto più a società “avanzate” che non a quelle maggiormente legate alla tradizione. Perché qui le donne parlavano e come, sia pure a loro modo!

In quasi tutte le scrittrici contemporanee (Fabrizia Ramondino, Anna Santoro, Emilia Cirillo, Maria Natale Orsini, Giovanna Mozzillo, Luciana Viviani, …e anche Cristina Comencini e Elisabetta Rasy[xiii]), uno degli elementi comuni è questo ritornare nella memoria alla ricerca delle radici, degli spazi dell’infanzia e della fanciullezza: in essi campeggiano con assoluta preminenza le figure femminili, le relazioni tra figure femminili. E tale centralità non è data dalla particolarità della vicenda biografica delle autrici, ma è pienamente giustificata dal fatto che nella cultura meridionale (napoletana-campana) a reggere la struttura intera e a reggere i rapporti, le donne, creando in più genealogia, sono state sempre centrali. E sono state centrali non solo all’interno della casa, della cerchia familiare, ma, come ci raccontano le autrici (da Matilde Serao a Natale Orsini) sono state centrali nell’economia, nella formazione, nell’elaborazione dei riti, e così via. Quella centralità era tale anche perché i confini dell’agire coincidevano un tempo con quelli della visibilità. E’ oggi, penso tante volte, che le donne, in certo senso e assurdamente, sono meno visibili nelle loro funzioni, o meglio, è oggi che la visibilità femminile dipende da fattori altri che dall’agire.

Al di là di temi di indagine e/o di scrittura, che, ho affermato, sono segnati dal genere più che dal territorio (sebbene il territorio faccia sì che chi scrive traduca tematiche generali in specifiche e vicine, o al contrario), ciò che certamente fa la lingua di chi scrive è il posizionamento di sguardo, il punto di vista, il che non allude semplicemente ad un “modo femminile” di guardare le cose, ma allude al fatto che all’origine di questo sguardo c’è il corpo (sessuato), posizionato in uno spazio, dal quale spazio riceve in certo senso forma. Così, tra i segni che il nostro territorio consegna all’identità di chi scrive, il più evidente e interessante è certamente quello del linguaggio, e non solo perché, programmaticamente o no, la lingua napoletana è sostrato sempre presente, ma perché la cultura meridionale detta metafore, lessico, figure, immagini, che hanno a che fare con gli spazi aperti, con il mare, con la fisicità, con il corpo e i corpi delle donne (e degli uomini), con il clima, con la luce, con il caldo, con il sole e con l’ombra e il buio, come assenza appunto di luce e sole. Il nostro territorio ci abitua al rapporto continuo tra vastità, che porta un filosofare dal ritmo lento e sognante, a volte apparentemente inconcludente, e particolare vicino: il rimbombo delle voci, il luccichio del sudore, l’odore dei capelli. La sonorità stessa del linguaggio scritto conserva, ancora più che nelle scritture di altre, il suono della parola orale, conserva il ritmo dell’affabulazione, della narrazione di favole, che è insuperabile nella terra che tanto donò al Boccaccio e che fu patria di Basile. Basta leggerle: le scrittrici dell’area campana, pur così diverse, hanno tutte qualcosa a che fare con i sapori, i colori, i suoni. Nella mia Piccola Antologia, questo elemento balza agli occhi. Le scrittrici qui raccolte, pur così diverse, hanno in comune un linguaggio solare, rotondo, fatto di terra, di sole, o, come scrivevo prima, di ombra e di buio, rappresentano un’abitudine all’immensità costretta in schemi non accettati, prima che dalla mente, dal corpo. Anche nelle più intellettuali, anche lì dove c’è un disegno preciso, razionale, strutturato, troviamo una fisicità e una capacità di dare forma al desiderio, che è molto più che alito della voce (secondo la definizione di Asor Rosa, riferita alla scrittura femminile): scrivere (e leggere) è toccare (M.Pia Pozzato).

Penso che le risatelle di Giovanna Mozzillo, il Vesuvio poveriello di Maria Natale Orsini, il tempo schiattoso, i reumatici, di Lina Pietravalle, abbiano radici nella disponibilità delle autrici ad ascoltare l’eco dell’altra voce, della voce orale, di quella che ha pronunciato le parole, o che ha per prima raccontato la storia, unendo gesti, modulando toni, facendo pause. E che questo le colleghi a Annamaria Ortese e a Elsa Morante. Che la terra di Emilia Cirillo sia la stessa terra, umorosa e profumata di Lina Pietravalle, che la pagina sui lastrici di Fabrizia Ramondino, la colleghi a quelle sul mare di Anna Santoro e a quelle su Procida di Elsa Morante, che la malinconia secca ma fatta di parole-immagini di Annamaria Ortese riporti a Fabrizia Ramondino, che il grande corpo che Anna Santoro ostenta, capace di saltare, di volare, di fare tutto, è, appunto, come l’incredibile Hulk, donna però. E penso che la bellezzina bionda e pallidetta di Matilde Serao anticipi la tenerezza del lessico di Elsa Morante e Annamaria Ortese. Penso alla favola magica che da Maria Savi Lopez, passando da Lina Pietravalle, Elsa Morante, Annamaria Ortese, tocca Giovanna Mozzillo e Antonella Cilento e approdi a Maria Natale Orsini. Ma Maria Natale Orsini, con quella scrittura che dà forma alla storia attraverso il racconto del fare la pasta, ci riporta a Matilde Serao e potrei continuare…

E penso che, grazie a questo linguaggio così sempre davvero innovatore, il sentimento struggente, che si alterna a pagine di denuncia forte e puntuale, non cade mai nel sentimentalismo o nel rimpianto del tempo perduto, ma rappresenti la tragicità e la profondità dell’utopia femminile nei confronti di un mondo che le donne vorrebbero diverso ma sanno ormai bene che la questione non è quella di trasformarlo, ma di prendere atto che lo fanno, essendone parte. In posizione di svantaggio.

 

 

[i] Cfr. “Gli amori  di una letterata” della Sig. D., in Esperienze letterarie, 1980, V, n.2; Intellettuali sulla scena, in Leggendaria, 1994, Novembre-Dicembre; Intellettuali dell’800: operazione svelamento, in Leggendaria, 1996, Marzo-Maggio; M.Pia Lombardi, Nei vortici del 2000, commedia (cura e Pref.), ristampa dell’edizione del 1934,  Napoli, 2000

Scrittrici, in: Napoli e la  Campania nel  900, a cura dell’Istituto Croce e dell’Università di  Napoli (ancora in corso di stampa); Piccola Antologia di scrittrici campane, Napoli, Intramoenia, 2001.

Notizie utili anche in: Narratrici italiane dell’Ottocento, Napoli, Federico e Ardia, 1987; Narrativa di fine 800: le scrittrici e il pubblico, in Italiana, 1992, V; Pagine di Biblioteca in Leggendaria, 1993, Luglio-Agosto; Il Novecento: Antologia di scrittrici italiane del primo ventennio, Roma, Bulzoni, 1997.

 

[ii] Aurelia Folliero De Luna Cimino, nata a Napoli nel 1827, figlia della poeta e scrittrice napoletana Cecilia De Luna. Fonda a Firenze la rivista “Corne­lia, apre un Istituto agrario a Cesena, è cor­rispondente di "The Revolution" famoso giornale americano, e del parigino "Le droits des femmes". Muore nel 1895. Tra le sue opere: Sta­bilimenti agrari femminili (Firenze 1879), Questioni socia­li (Gargano, Cesena, 1882), Teosofia moderna (Ro­ma 1893).

 

[iii] Nata nel 1853 a Bruxelles dove il padre, Demetrio Salazar, patriota di origine calabrese, trapian­tato gio­vanissimo a Napoli, era stato esiliato dopo il 1848, Fanny vivrà prevalentemente tra Napoli e Roma, a parte numerosi viaggi in Italia e all’estero. Della sua vastissima attività letteraria: Tra l'ideale e il reale (Rondinella, Napoli, 1879), Manuale di economia domestica (1880), Cenno sui co­stumi del popolo napoletano (1880), Briciole (Tip. Carluccio, Napoli, 1881), Costumi popolari (di Napoli) (in Memorie di Napoli...., C.A. Bronner e C.ia, Napoli, 1882), Uno sguardo sul­l'avve­nire delle donne in Ita­lia (E. Detken, Napoli, 1886), Antiche lotte, speranze nuove (Tocco, Napoli, 1891), La vita e le opere di Robert Browning ed Elisabeth Barrett (Ed. nazionale, Torino-Roma, 1907, ma già Tocco, Napoli, 1896, col titolo Robert e Elisabeth Browning), Cavalieri moderni (Voghera, Roma, 1905), Studi sulla vita e le opere di Cristina Rossetti e Jane Austen (1922), Olivia Agresti Rossetti (Nuova Antologia, Roma 1922), Margherita di Savoia, prima regina d’Italia (Tip. Irlandese, Roma, 191.). Nel 1881 dirige la collana "Bi­blio­teca azzurra", nell’86 fonda “La Rassegna degli interessi femminili” e nel 1901 fonda “The Italian Review”.

[iv] Nata a Napoli nel 1843, figlia della poeta Laura Beatrice Oliva, e di Pasquale Stanislao Mancini, dal 48 al 60 vive a Torino in esilio con la famiglia. Poi visse tra Napoli, Torino, Roma, dove muore nel 1915. Tra le sue opere: Commedie d’infanzia (Napoli, 1874), Teatro per le fanciulle (Napoli 1874), Poesie (Bologna 1879), Lidia (Milano 1880), Nuove poesie (1888), Donnina (Pierro, Napoli, 1892), Marito e avvocato (Tip. Pallotta, Roma 1892), La signora Tilberti (Città di Castello 1894), Alla vigilia (Torino 1896), Una pagina di storia (Nuova Antologia, Roma, 1898), Impressioni e ricordi :1856-1864 (Tip. Cogliatti, Milano, 1908).

[v] Nata a Napoli nel 1846, musicista, poeta, narratrice, studiosa di letteratura italiana, fu ricercatrice a livello internazionale di tradizioni popolari e di leggende. Insegnante, si occupa dei problemi della scuola e dell'educazione. Morì nel 1940. Tra le opere: Casa Leardi (Speirani, Torino,1886), Versi (Torino 1886), Battaglie nell'ombra (Torino 1887), Leggende delle Alpi (Loescher, Torino, 1889), Fra le Ginestre (Pierro, Napoli, 1892), Nei paesi del Nord (Torino 1893), Leggende del mare (Loescher, Torino, 1894), Miti e leggende degli indigeni americani (Milano 1894), La dama bianca (Giannotta, Catania, 1899), Il  poema di Gudrun (Roma 1913), Nei regni del sole- Antiche civiltà americane (Treves, Roma, 1926), Città morte -dal Messico all’Honduras (Rinascimento del Libro, Firenze, 1931).

[vi] Nata a Patrasso nel 1856, nell’80 diventa collaboratrice fissa del Capitan Fracassa, poi del  Fanfulla della Domenica,  Nuova Antologia, Cronaca Bizantina. Assieme a Edoardo Scarfoglio, fonda il Corriere di Roma, il Corriere di Napoli, Il Mattino. Nel 1904 si separa dal marito, e fonda Il Giorno che sopravviverà di un solo mese alla sua morte nel 1927. Tra le opere: Leggende napoletane  e Cuore infermo (1881), Fantasia (Casanova, Torino, 1883), La virtù di Checchina e Il ventre di Napoli (1884), Scuola normale femminile (Nuova Antologia, Roma, 1885), Il romanzo della fanciulla (1886), Vita e avventure di Riccardo Joanna (Milano, 1887, ma riveduto e ripubblicato con il titolo I capelli di Sansone, Perrella, Napoli, 1909),  Il paese di Cuccagna (1891), Gli amanti (III edizione, Napoli, Perrella, 1908), Piccole anime (Baldini e Castoldi, Milano, 1902), Storia di due anime (Nuova Antologia, Roma, 1904), Telegrafi dello Stato (Perino, Roma, 1895),  Dopo il perdono (Nuova Antologia, Roma, 1905), Evviva la vita! (1908), Ella non risposeAddio amore !Castigo (1914), Mors tua vita mea (1926) . Cfr. n.1.

[vii] Non bisogna aspettare Edoardo per avere personaggi come il vecchio Marchese di Formosa che con una statua di Cristo si rapporta come con una persona con la quale scambiare dispetti e prove di forza : fa spegnere l'olio avanti al quadro perché non gli ha fatto la grazia (cioè quella di vincere al Lotto) o addirittura lo annega in un pozzo.  E  ricordiamo anche il padre del protagonista di Ricomincio da tre di  Massimo Troisi.

[viii] Figlia, credo, della poeta M. Giuseppa Guacci Nobile, Emilia, docente di filosofia,  è autrice di molti testi.

[ix] Pedagogista, fu la prima donna in Italia, nel 1932, a reggere un Istituto universitario, la Scuola femminile di Suor Orsola Benincasa,  fondata a Napoli  nel 1891 dalla principessa Adelaide Pignatelli.

[x] Nel 1930 è “l’unica italiana titolare di una cattedra di filosofia” : cfr. M. De Giorgio, Le italiane dall’Unità ad oggi, Laterza, 1992, p. 470.

[xi] Cfr. A. Santoro, Scrittrici, in Napoli e la Campania…, cit.

[xii] Si tenga presente che a Napoli doveva esserci  una certa at­ten­zione da parte del pubblico femminile, se nel 1870 viene stampata, prima della traduzione della Mozzoni, La soggezione delle donne tradotta dall'inglese per Giustiniano Novelli. Con un'appendice contenente notizie delle donne illustri.

[xiii] Cfr. Luciana Viviani, Le viceregine di Napoli, Giunti. 1997; Cristina Comencini,  Passioni di famiglia, Feltrinelli, 1994; Elisabetta Rasy, Posillipo, Rizzoli, 1997.

 

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