Racconto - Casi di cause

5 Maggio 2017

                                                                            Casi d cause

Caro signore, lo so, lo so, di truffe se ne sentono tante in Tv o sui giornali e io ho letto e ascoltato di tutto, sempre come fosse un film o un ennesimo quiz che se non ci sono premi perde interesse. Ma che capitassero a me, cittadina ligia alla Legge, amante della Giustizia, senza nessuna propensione verso Processi e simili, di buona cultura, intelligente, proprio mi pareva assurdo e invece più di un volta ci sono scivolata dentro, quasi senza accorgermene. Sarà per sfortuna, per volere delle stelle, per mie negligenze, non so. Ecco, ora le racconto alcuni eventi, non so se serviranno come spiegazione per questo ultimo, ma insomma…

 

1) La casa in campagna.

Come tutte le donne femministe di sinistra della mia generazione, e in più scrittrici, poete, attrici, pittrici, fotografe,  insomma artiste, ma anche manager, donne n carriera, giornaliste, eccetera eccetera, ho desiderato da sempre crearmi un piccolo rifugio fuori città, al mare o in campagna, e appena ne avevo occasione me ne scappavo a Procida, o sulla costiera, ospite per qualche giorno di amici/che, o in supereconomiche pensioncine della costiera (le mamme del B&B).

Anni fa, all’improvviso questa smania di vivere fuori città, lontana da gas di scarico, rumori molesti, distrazioni non richieste né ricercate, parve avverarsi, per un momento. Accadde quando lessi di una casa in vendita nella zona di Itri a un prezzo davvero fantastico. Mi precipito il giorno dopo e trovo un terreno bellissimo, una casa in pietra un po’ vecchiotta con piante di glicini, gelsomini, buganvillee arrampicate su per balconcini e verande e un proprietario stile signore di campagna, giacca di velluto stropicciata, capelli barba baffi di una bella sfumatura di grigio, occhi acuti, intelligenti, seduttivi. Fu amore a prima vista (per la casa).

La settimana dopo torno a  vederla con l’amica architetta, che mi dà consigli, mi raccomanda prudenza, e suggerisce alcuni quesiti da porre. Che io, quasi vergognandomi per i sospetti sottintesi, successivamente porgo  al gentiluomo e quello, sorriso benevolo e lieve scuotimento della testa crinita, mi rassicura con la sua bella voce baritonale.  E io abbocco.

Quando torno la volta successiva, con una sfilza di domande e di quesiti in bell’ordine, stampati e numerati,  preparata dalla mia amica che non se la beve, sono posta di fronte al dilemma: “prendere o lasciare”. Perché c’è un altro compratore, mascalzone!, che scalpita, pronto a sborsare la cifra pattuita e in modo più conveniente per il proprietario.

Ma io sono  un sentimentale,  mormora lui, preferirei vendere a lei, è una bella persona, prosegue con un rapido sguardo e mi pare anche con un leggero rossore,  mi piacerebbe abitasse lei la mia casa, si vede che la ama e saprà curarla, e dunque. Del resto, conclude, ecco qui carte e planimetrie da far valutare dai suoi amici architetti, in quanto alle modalità del pagamento, ci mettiamo d’accordo, che diamine. E mi offre anche il caffè.

Firmo il compromesso e dò un anticipo. Torno canticchiando a Napoli, consegno le carte all’amica segugia, assolutamente scontenta di quanto ho fatto, e scopre subito:

  • che la casa che ho visto é presumibilmente un facsimile di quella che verrà,
  • che il venditore, il galantuomo di campagna, non é proprietario di ciò che mi vende,
  • e altre quisquiglie e pinzillacchere.

Alle funeste informazioni, resto colpita  dalla perfidia, non è la prima volta ma ogni volta è sempre una sorpresa. Poi mi riprendo e, ancora con la speranze di smentite e rassicurazioni, telefono al venditore. Il quale, alle mie richieste di chiarimento, risponde chiudendomi il telefono in faccia. Io richiamo, faccio appena in tempo a dire: “Ma allora mi ridia la caparra...” che quello lo risbatte (il telefono).

Vado da un avvocato. Mi informa di alcune cose importanti :

  • che bisogna assolutamente fare una causa
  • che è certo di vincere,
  • che ci vorrà tempo,
  • che lui questo fa di mestiere,
  • che devo stare tranquilla.

Ecco, sono passati decenni, e di soldi (che il sedicente venditore dovrebbe restituirmi triplicati), non ne ho visti, anzi ne ho cacciati altri. Su quel giornale ancora i suoi avvisi: lui continua a vendere case e terreni.

 

2) Il corso di lingua straniera

Questa volta, il protagonista é mio figlio. Sedici anni, bello, simpatico, musicista, aria vagamente distratta (e non solo l’aria). E’ in viaggio, di ritorno da un concerto favoloso dei suoi big preferiti. Alla Stazione di Firenze lo fermano un paio di simpatiche e carine coetanee. Parlano del più e del meno, anche di cantanti, di musica, di libri, di viaggi. Loro, informa dopo un poco una, lavorano per una famosa società che vende corsi di lingua straniera su cassette, ma non sono venditrici: sono pagate solo a numero di interviste realizzate. Interrogano i giovani per sapere se conoscono le lingue straniere, se viaggiano, se.

Mio figlio non è interessato al corso, ma gli piace raccontare di viaggiare, di masticare varie lingue, anche grazie alle canzoni, e una gli dice: dai, facci questo  piacere, l’altra: scrivi per favore così e così, firma per favore, dai, si vede che queste cose le capisci, sei giovane anche tu...Insiste l’altra:  ci fai guadagnare qualcosa di soldi, é la prova che il nostro lavoro lo facciamo sul serio, dai, firma, presto, altrimenti perdi il treno. Lui firma, le ragazze sono carine, specie una,  ha sonno, é distratto, è un puro. Occhei: sbaglia. Ma non lo sa di sbagliare. Tanto che dimentica la cosa.

Una mattina (qui entro io in scena) arriva a casa un pacco, (nel senso di postale e di fregatura). Apro: non c’è richiesta di danaro, solo cassette da quattro soldi. Ne infilo una nel registratore e a stento distinguo qualcosa: dovrebbe essere la lingua di Shakespeare. Chiamo mio figlio, cade dalle nuvole, poi ricorda, quella sera a Firenze...

Telefono all’avvocato, che mi rassicura. Su suo consiglio rispedisco il tutto con una letterina dove si diffida dal darmi noia con questa storia. Arriva un altro plico con il prezzo da pagare: si tratta di L. 1.350.000 (c’erano ancora le lire).

Richiamo l’avvocato, che si fa una risata, mi tranquillizza e mi spiega che:

  • é assurdo che questi truffatori possano voler arrivare ad una causa,
  • fanno così perché contano su quelli che si spaventano,
  • le cassette le abbiamo rimandate subito indietro,
  • non valevano una cicca,
  • lui questo fa di mestiere,
  • devo stare tranquilla.

Mesi dopo e poi con scadenze regolari, continuano ad arrivare lettere minacciose dove mi si avverte che il prezzo, al quale vanno aggiunte multe per ritardi e affini amenità, continua a crescere : siamo sui tre milioni.

Rispondiamo in tono duro e, d’accordo con l’avvocato, ritengo chiuso l’incidente. E sbaglio, perché la cosa va avanti fino a far intravedere una causa da svolgersi a Firenze e dunque i costi crescerebbero eccetera.

Insomma, sono costretta a pagare, senza neanche ritirare le cassette che mi arrivano tempo dopo fermo posta, perché, anche a cancellarle e a usarle per altro, non valgono  la spesa postale di L 25.000 che viene ulteriormente richiesta.

Il mio avvocato mi dà una lunga paterna occhiata e dice che così a volte va il mondo.

 

3) Assicurazione di che?

Pochi anni più tardi, ancora mio figlio é protagonista di questa vicenda che ora, nel raccontarla, appare esilarante.

Dunque, é in macchina con amici, tutti carini, musicisti, giovani e scapestratini. Vanno a tenere un concerto non ricordo dove. Sull’autostrada li fermano i vigili, che li guardano come allora si guardavano i giovanotti vagamente alternativi, chiedono di vedere la ruota di scorta, di controllare fanali, fanalini e lancette, e infine di tirar fuori i documenti. Osservano con meticolosità patenti e carte di identità, e infine, non paghi del Bollo in bella vista sul cruscotto,  chiedono il documento dell’Assicurazione. E questo manca.

I tutori dell’ordine gongolano e multano: finalmente!, c’è qualcosa che non va. (Non é accanimento professionale? Va bé, lasciamo perdere). Per ora solo (???) multa pecuniaria, ma attento, il vigile guarda fisso i lunghi capelli biondi del mio ragazzo, dovrai però portare a vedere il Certificato. E a suo dire, lo scrive sul verbale (ma la scrittura é illeggibile). Mio figlio paga.

Racconto questa storia al mio avvocato, incontrato per caso a cena da amici comuni. Lui sghignazza e mi esorta a stare tranquilla.

Mesi dopo arriva una multa triplicata, centuplicata, non so, so che arriva al milione, perché la ricevuta del pagamento dell’Assicurazione non é stata mostrata all’Ufficio Competente.

Vado in Prefettura con mio figlio, accompagnata dall’avvocato. Non so se è grazie a lui, grazie ai miei occhi ora aggressivi ora seducenti, al tremore ormai visibile delle mie mani, comunque la Prefettura ci viene incontro! Compresa la buona fede del giovane perseguitato, gli intima la consegna del Documento entro non so quale data. Tutto occhei? No, Non è finita: mio figlio scopre che le bollette di pagamento per l’Assicurazione risultano poco chiare.

Andiamo presso l’Agenzia Assicurativa (non di una piccola Assicurazioncella, ma della Grande Nordica Assicurazione) e scopriamo:

  • che l’Agente che seguiva mio figlio é stato licenziato perché truffava (ce lo dice il Direttore)
  • che mio figlio da cinque anni, ogni sei mesi, cioè ogni volta che pagava la rata assicurativa, risultava scoperto per una decina di giorni perché l’Agente gaglioffo intascava e non versava subito.

Occhei, rispondo io all’indignato quanto noi e pietoso Direttore, occhei, ma é lei il responsabile. Assolutamente no!, risponde quello cambiando espressone, faccia una querela all’ex Agente. Ma noi abbiamo scelto la sua  Assicurazione e non il signor Pinco Pallo. E quello: nisba.

Non c’è verso.

Andando via dall’Agenzia, dove abbiamo lasciato il Direttore in lacrime ma irremovibile,  l’avvocato confessa che, sì, in effetti, non c’è niente da fare. Certo, se si fosse trattato di un incidente, magari mortale, ne sarebbe valsa la pena, la pena, di intentare causa, ma così... Così pago il milione e rotti.

 

4) L’albero e l’auto pronta per lo scasso

Io ho un giardino, che amo, dove coltivo l’orto e faccio correre i cani, e grazie agli alberi di limoni  e di mandarini,  faccio il mandarinetto e il limoncello. Sì, perché ho anche degli alberi. Tra questi, tre pini, improvvidamente piantati circa quindici anni fa dall’allora proprietario. I pini rinnovano l’aria, però costano una cifra per curarli a dovere. Fatto sta che li poto ogni due anni e non li abbatto come fa qualche vicino, né inalo nelle radici del veleno per farli morire, come mi consiglia uno che lo ha fatto. Anche perché, quando, vinta dai problemi, vado a chiedere il permesso al Comune, mi rispondono che no, quegli alberi sono protetti. Dunque me li tengo e me li curo, spendendo ogni due anni dai due ai tre milioni solo per potarli.

Il mio giardino da un lato sovrasta un cortile. Più o meno sotto uno dei pini che sporge i suoi rami, viene a mettersi (sottolineo, quando già c’era il pino) un’auto che sembra abbandonata tanto é vecchia e tanto non é mai usata. Si tratta di una cinquecento di centodieci anni fa. La macchina gode dell’ombra del mio pino. E invecchia bene.

Ma due anni fa, di inverno, c’è una burrasca. Da tutti i giardini che circondano il cortile piovono rami e rametti, pigne e vari ammennicoli.

I condomini del cortile, saggiamente, da sempre hanno provveduto a costruire tettoie, ben consci dell’eventualità di simili bufere, ma la povera vecchia sgarrupata cinquecento no. Cioè la padrona della povera vecchia sgarrupata no.

E allora? Non si sa bene cosa accadde una notte :

  • forse davvero dal mio pino cade una pigna,
  • o forse la pigna appartiene ad un altro pino,
  • o forse cadono tante pigne su tante auto.

Il giorno dopo non sapevo nulla di queste cose. Per il resto, se ho ben ricostruito, quelli furono i giorni  in cui mi tagliai i capelli, cominciai ad andare dalla psicanalista e....sì, sì, sto divagando, scusate...

Sta di fatto che un giorno la signora decide forse che deve comprare una macchina nuova o una nuova cucina attrezzata e che, per arrotondare, può cercare di ricavare qualcosa dal suo rottame. Così mi cita. Dice :

  • che una pigna, una, le ha ammaccato la macchina (la vecchia sgarrupata),
  • che i piccioni che albergano sui pini (!!) lasciano cadere materiali acidi,
  • che ha speso un milione per aggiustare la macchina.

Chiede :

  • che il pino sia raso al suolo,
  • che i piccioni siano fatti emigrare,
  • che si veda come e cosa fare ma lei la vuole nuova (la macchina).

Io chiamo il mio avvocato, chiamo un tecnico agrario (e tutto ciò, lo ricordo, non mi costa solo il gettone telefonico), chiamo il Comune che mi ha vietato a suo tempo l’abbattimento... Il mio avvocato mi dà una gran pacca sulla spalla che mi provoca quasi uno sbocco di sangue, il tecnico mi rassicura dolcemente, il Comune conferma : lei è in una botte di ferro. E tutti, tutti, esperti, tecnici, amici, parenti, vicini, fornitori, colleghi di lavoro, eccetera, tutti a dirmi di non agitarmi. E’ letteralmente un coro di sghignazzate: “ma che vuole questa pazza? (cioè la vecchia megera, non io, sì, lo so che avevate capito, ma era solo per dire che...)”.

Alla testa del coro, che è ormai un corteo, il mio avvocato.

Andiamo alla causa e io perdo. Vengo condannata :

  • a contribuire alla spesa per la macchina nuova (già, perché lei ora la vuole nuova, ma sa, mi fa notare con dolcezza, mica gliela devo pagare intera io !)
  • a far potare gli alberi (ma io già lo faccio! - esclamo all’avvocato che mi legge impassibile la sentenza).

E se dovesse un giorno cadere un’altra pigna? E se un giorno la signora volesse cambiare modello?

 

5) Cose da pazzi: per un terrazzo?

La mia casa ha l’accesso esclusivo al terrazzo di copertura, che ho pagato come esclusiva proprietà quando ho comprato l’appartamento. Si accede al terrazzo, ripeto, solo da casa mia. Tutti gli altri proprietari degli appartamenti hanno a suo tempo firmato una rinuncia alla proprietà del loro pezzetto di terrazzo. Tutti tranne uno che, per  vecchie contese che non conosco, ha rifiutato la firma all’allora proprietario. Io per anni, circa dodici, pago le spese di condominio accollandomi i millesimi di tutta la superficie e per anni il renitente, pur protestando la sua simpatia nei miei riguardi e affermando di non avercela con me, continua a imboccare vie legali per possedere...per possedere cosa non so.

Il mio avvocato mi dice

  • che questa volta sarà irremovibile
  • che la vittoria è ultra certa
  • che questo lui fa di mestiere
  • che devo stare tranquilla.

Sì, sì, abbrevio la storia.  Arriva la sentenza che stabilisce:

  • che il renitente ha effettivamente la proprietà ma, visto che non può accedere al terrazzo se non attraverso il mio appartamento, gli é ovviamente negato l’uso del suo pezzettino,
  • niente altro.

Cosa comporta questa sentenza non so. So che io, avendola formalmente persa, sono condannata a pagare le spese: L. 5.000.000. Ma il bello é che al renitente non interessa il terrazzo, non vuole nulla da me, crede di colpire il vecchio proprietario. Non riesco a capire.

Anche il mio avvocato questa volta resta scosso e scrolla la testa perplesso.

 

Riassumendo: non so se sono riuscita a dare una sia pur vaga idea dei guai che ho passato, certo é che a Pasqua vorrei chiamare il prete (sarebbe la prima volta nella mia vita) per far  benedire la casa.

Ma, sa ?, ancora non so cosa altro avrei potuto fare. Perché insomma, nel primo caso io volevo una casa legalmente, nel secondo mio figlio voleva dare una mano a una fanciulla occhi dolci, nel terzo mio figlio era in regola con l’assicurazione che non ha mai pagato una volta in ritardo, nel quarto non ho ammissioni di corresponsabilità da fare, nel quinto io non c’entro niente, e così via.

Sì, caro signore, perché i casi non sono finiti. Posso raccontarne altri, tutti veri. Tutti incredibili, tutti capitati a me, a mio figlio, ad amici e a conoscenti... Insomma sono sicura che se davvero le raccontassi tutto, davvero saremmo sommersi da un mare di illegalità subite, accettate per disperazione o impotenza.

E le dico un’altra cosa: quando gli amici mi sentivano raccontare queste storie, esclamavano: “Ma piantala, è diventata un’ossessione. Non puoi star lì a rimuginare in continuazione sul perché non hai vinto almeno una causa”

“Già - dicevo io- almeno una, per sfizio”

A Pasqua sono anche andata dal mio avvocato e gli ho portato un grande uovo di cioccolata pieno di tanti cioccolatini. Sulla porta, lui mi dava la mano e intanto con l’altra mi spingeva fuori e io continuavo a chiedergli dove è che avevamo sbagliato :

“Sì, delle leggerezze da parte mia, di mio figlio ci sono state, ma é possibile pagarle tanto? E’ giusto pagare tanto quando la sostanza dei fatti é che i truffati siamo noi? Cosa dice, avvocato ?”

“Cosa vuole che le dica, signora ? Dopo Pasqua ci incontriamo e esaminiamo il da farsi. Perché ricordi :

  • che io questo faccio di mestiere
  • che lei deve stare tranquilla...”

 

Non ha finito la frase: è caduto giù per tutta la rampa. Ora è certo che dovrò cambiare avvocato. Cosa ne dice, brigadiere ?

 

 

(fine anni 80, pubblicato su La città, credo)

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