L’innominabile chiamato amore. Per una nuova educazione sentimentale delle donne.

24 Settembre 2017

Alle sorelline, madri, figlie, attaccate da questa società indegna, e alle giovani donne e no, in piazza a manifestare la rabbia, lo sdegno, il rifiuto, la condanna, e, assieme, la forza e la capacità di lottare.

Care, violate, maltrattate, massacrate da ignobili delinquenti, avvilite e umiliate sui mezzi di comunicazione, sbandierate come prova della leggerezza e del destino di vittima delle donne, ormai lo sappiamo:  non è amore questo istinto maschile alla prepotenza, al possesso, alla brutalità, all’arroganza, non è per troppo amore o gelosia (“esagerata prova di amore”) che si uccide.

Grandi manifestazioni si battono (ci battiamo) da decenni contro la cultura sessista che è all’origine dei crimini, e che, tranne sparute eccezioni,  trova (ancora?) spazio nelle istituzioni, nelle forze pubbliche (che dovrebbero difendere e perseguire), nei tribunali, nelle università, nei posti di lavoro, nelle famiglie, oltre che, in modo massiccio, nei mezzi di comunicazione. I quali, nella migliore delle ipotesi, alla fine  definiscono crimine la violenza sulle donne, riferendosi allo stupro e all’omicidio (anzi: femminicidio), permettendosi però  di fare distinguo (se l’è cercata lei, e varie), e non risalendo al potere patriarcale, alla complicità (o la passività, sempre colpevole) di tanti, al silenzio dei grandi intellettuali.

Tutti costoro sono i responsabili, e magari sono nostri padri, fratelli, figli, compagni.

Qui, con tutta la vicinanza e la delicatezza di cui sono capace, ma anche con convinzione, vorrei aggiungere e sottolineare una questione apparentemente ovvia ma che non è stata detta:

NON E’ AMORE NEANCHE CIO’ CHE ALCUNE DONNE, PRIMA ANCORA DEL DELITTO, HANNO RITENUTO DI PROVARE. Non si amano uomini volgari, stupidi, violenti, come quelli che la cronaca nera ci presenta di continuo (più altri).

Mi viene in mente, a questo proposito, Pelle di donna, (storie di ordinaria sopravvivenza femminile, Bonfirraro, 2016), un importante lavoro di Alina Rizzi, mia cara amica, scrittrice e poeta, passato sotto silenzio. Mi sembra opportuno segnalarlo e riporto alcune parole che le scrissi:

“Sulla violenza maschile, l’ho scritto tante volte, sono gli stessi uomini a doversi interrogare, ma è sulla cultura femminile, mi correggo: sulla cultura introiettata da tante donne, che questo libro ci obbliga a lavorare. E sulla cultura, mi correggo ancora: sul modo di fare cultura, di tante intellettuali...Questi racconti, che riguardano donne di vari ceti sociali, differenti culture e vissuti, in modo scarno e semplice ci rappresentano donne che mi piacerebbe reputare “fuori tempo”. E che purtroppo tante reputano fuori dallo spazio di interesse….Qui mi colpisce che alcune dicano: mi sono innamorata di lui e poi è diventato violento. Oppure: dopo le prime volte ho ritenuto che potesse cambiare. Oppure: accettavo la violenza perché bambina, a volte fraintendendo, eccetera…Come si arriva alle migliaia, ai milioni, di donne,  così indifese? ….”.

La nostra società, la cultura dominante, il potere patriarcale (come chiamarlo in altro modo?), la de/formazione della mentalità, agisce su tanti aspetti e non può che generare razzismo, sessismo, violenza. Ma alle donne arreca un danno maggiore (è quello il punto di partenza di tutto il resto): vuole farle complici, corresponsabili.

Bisogna lavorare (in casa, nelle scuole, nelle associazioni, con le vicine, con le figlie di amic*, con tutte le donne che avviciniamo) perché la crescita di una sana e consapevole autostima delle donne non permetta questo. Bisogna lavorare su una nuova educazione sentimentale che spazzi via i modelli  che ci hanno propinato: la dedizione, il sacrificio, l’amore come sofferenza, il dovere di “smussare gli angoli” ,  di perdonare e accettare, come si insegnava una volta.

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