Le donne nel Medio Evo - appunti del 1976-77

3 Gennaio 2019

(Appunti del 1976-7 (circa), quando cominciai a pensare di studiare la storia delle donne del passato. Ricordo che all’inizio ne ero convinta e mi ci dedicai molto (coinvolgendo a tratti la mia cara amica Elena Vitas), poi iniziò il periodo della separazione, la partecipazione attiva al Movimento e iniziai a scrivere In altro modo?) (Copio fedelmente)

Introduzione

Questo lavoro non è che un tassello di un enorme puzzle, che non esiste ancora, che non è preordinato, e che è in continuo farsi. Immagino tanti pezzetti che, man mano che il lavoro andrà avanti e relazionandoci con altre studiose specialiste, probabilmente saranno modificati per dare forma al disegno che comunque avrà bisogno di decenni per essere appena abbozzato.
Siamo partite ponendoci le solite nostre domande: E ora? dove si va? Più capiamo e più ci accorgiamo di quanto ci manca, di quanto ci hanno tolto. E allora torniamo a quelle apparentemente ingenue: Perché la donna si trova in una situazione di sudditanza e di oppressione? Come hanno fatto a farle accettare o comunque subire questo stato di cose? Perché il Potere ha puntato tanto sulla sessualità? Perché ha puntato più sulla differenza sessuale che non, per es., sulla diversità di razza o di classe?
Dividet et impera è sempre stato il motto dei potenti e conosciamo da tempo le mille “differenze” e classificazioni, sottili o no, a cui siamo sottoposti: buoni e cattivi, belli e brutti, sani e malati, bravi e ignoranti, intelligenti e scemi, e poi adulti e giovani e bambini, via via fino alle storiche classificazioni di razza, civiltà, cultura. Queste differenze comportano sempre una gerarchia e cioè un’oppressione. Quella che è usata come principale è la sessuale: maschio-femmina . Sempre.
In questo senso la civiltà antica, la greca, la romana e successivamente la reggia, l’impero, il sistema feudale, quello democratico-borghese, e così via, hanno di volta in volta ristrutturato e organizzato il potere del maschio. La brutalità, la violenza, la forza biologica ha fatto del maschio il padrone in tempi remoti. E questo padrone di volta in volta si è espresso in varia maniera attraverso il potere. In ogni caso l’oppressione e lo sfruttamento di classe, la reggia o l’impero, il sistema feudale o democratico, hanno di volta in volta ristrutturato e riorganizzato il potere del maschio.
L’opposizione e la svalutazione delle donne sono nate dal disprezzo verso la differenza sessuale (la naturale inferiorità), ma oggi si esplicano come inferiorità di “modo di essere”.
Cioè, partendo da una realtà, la differenza dei sessi, e mistificandola (attribuendo inferiorità al sesso femminile), si è creato per la donna un sociale che l’ha oppressa e poi le si rinfaccia che non è autonoma, che ha bisogno del maschio, che non è in grado di gestire le cose, che è reazionaria, che è la base del consumismo, che non è critica, che non ha capacità intellettuali né artistiche, per lo meno non pari a quelle dell’uomo. La differenza sessuale viene vista come riprova a tutto questo. Differenza sessuale nei termini di negazione (non sesso).

La questione profonda che poniamo non è tanto quella di fare la storia delle donne o del movimento delle donne o rintracciare le donne nella storia, sì invece di ripercorrere dal punto di vista delle donne la storia, nel senso di rileggerla e riviverla con la nostra attuale capacità di comprensione. Cioè, quello che ci sembra importante oggi è ritrovare la dimensione femminile nel passato per saldarlo a questo oggi, che sembrerebbe averla scoperto solo ora. Oggi ha inizio la presa di coscienza di un femminile che però è esistito sempre. Ed è per questo che serve anche conoscere la storia delle donne, rintracciando le donne nella storia.
Viene dunque fuori una proposta per un’approfondita ricerca storica, proprio sulla storia vissuta dalle donne. Come la donna ha partecipato, in quale misura, con quale ruolo e con quanta accettazione al formarsi della storia sino ad oggi?
Siamo convinte che non si può più sostenere che la donna non abbia contribuito alla storia, alle scelte economiche politiche, culturali, e questo sia per restituire a lei (a noi), alla “donnità”, elementi tradizionalmente appannaggio dell’uomo, ma anche per farle sentire (per sentire noi) come anche l’accettazione di un ruolo di passività è ruolo di sostegno e quindi contributo a ciò che si va creando intorno. Tra la donna e l’altro da sé c’è sempre stato rapporto dialettico, anche se i rapporti di forza erano terribilmente sproporzionati. Ancora oggi, in un’epoca in cui, a parte i movimenti di liberazione delle donne, la tecnica di riduzione della donna a un ruolo definito (funzionale al sistema) è avanzatissima, eppure nella scuole medie primarie o nelle prime classi delle secondarie, nonostante una maggioranza passiva, complessivamente le ragazze sono più vive, più autonome intellettualmente, più critiche, più curiose, più disponibili dei maschi. I quali di lì a pochi anni saranno i mariti e le ridurranno al silenzio, all’assunzione delle responsabilità più pesanti all’interno della famiglia.

Per tutto questo la storia che ci serve scrivere non è la storia della donna (certo, anche quella) ma quella del rapporto donna-uomo dichiaratamente visto dalla parte delle donne. Perché è a questo punto che c’è l’espropriazione reale, nel momento del racconto e quindi della formazione della tradizione, della memoria, della cultura.
Una storia dunque “di parte” (come di parte è quella che noi oggi conosciamo), ma senza mistificazione: l’uomo infatti sostiene di aver scritto La Storia, tranne poi a non nominarci mai, a non interrogarci mai, a non mettersi, appunto, mai nei nostri panni, ma rimanendo sempre ben stretto nei suoi. Al punto che quando è costretto a prendere atto della presenza di donne, queste figure vengono introdotte con un misto di sorpresa o di paternalismo (e pensare che è donna…) e sempre come Donne Eccezionali (e non nel senso “fossero tutte così”), eccezioni, snaturamenti del ruolo .
Questa storia sarà di parte non per sostituire alla loro storia la nostra, ma perché di entrambe si tenga conto, entrambe esistono, e soprattutto esiste la relazione tra le parti che fa la storia. La Irigaray accenna e auspica per il futuro una sorta di “desiderio di altro, di diverso”. Ricostruire la nostra storia farà sì che noi potremo costituirci come soggetto autonomo e guardare al punto di vista maschile come “altro”.
Nel nostro ragionare e interrogarci su queste questioni, abbiamo discusso della condizione della donna sin dai tempi antichi, siamo risalite all’età della pietra e poi giù lungo le varie civiltà occidentali (e puntatine sulle orientali) e rimanevamo spaventate dalle continue questioni, dai problemi che ci si ponevano. Uno enorme, e purtroppo ovvio, è stata la nostra ignoranza, l’aver noi nozioni approssimative, tutte da verificare. In certi momenti ci è sembrato di perdere il filo e solo con estremo impegno siamo riuscite di volta in volta a riprenderlo e questo grazie al fatto che il nostro interesse non era astratto, sì invece tutto rivolto all’oggi, alla situazione oggi esistente, alle contraddizioni e ai problemi che oggi viviamo.
Su questa base, partendo dalle oppressioni e dalle sofferenze delle donne oggi, dai ruoli fittizi che oggi premono ancora, abbiamo risolto di iniziare la nostra inchiesta dal Medio Evo.
In quell’epoca nascono i presupposti della società moderna, cioè della moderna divisione in classi e della moderna ristrutturazione del patriarcato: in quegli anni con chiarezza abbiamo modo di cogliere in fieri la codificazione moderna dell’essere donna. Che è tale (secondo loro) a patto di appartenere a una famiglia: la famiglia proto borghese, infatti, è strumento privilegiato da parte del potere per opprimere sfruttare usare a proprio vantaggio gli altri. In questo senso la storia della donna e del suo rapporto con l’uomo, determina e chiarisce la Storia, quella dell’oppressione e dello sfruttamento di classe.
Noi ci siamo servite delle documentazioni presenti negli archivi sulla condizione delle donne nel Medio Evo, specie riguardo il rapporto donna-lavoro, e abbiamo studiato vari testi, che citeremo man mano. Ma siamo convinte che questo lavoro dovrebbe e potrebbe arricchirsi grazie alla relazione tra tante studiose, per ricostruire tutto il campo della conoscenza dal punto di vista delle donne. Ad esempio una storica avrebbe di certo semplificato il lavoro presente, agevolato la ricerca e la comprensione degli eventi.
Ci sono in questo percorso spunti per una ricerca economica. La donna come unità produttiva. Il ruolo della forza lavoro femminile (a volte riassorbito sul mercato operante, altre definito come servizio privato dato all’interno della famiglia, sia essa estesa o monocellulare), il valore economico del lavoro della donna, indispensabile e insostituibile, creatrice di servizi e di compensi affettivi, possono essere totalmente ignorati e repressi nella vita moderna, eppure non sono elementi aggiuntivi ma determinanti, operanti attivamente nella Storia. Si può creare una realtà disumana di lavoro e di rapporti tra le persone, si può opprimere e sfruttare fino all’annientamento della dignità, perché c’è una famiglia, una donna, pronta ad assorbire le tensioni accumulate “fuori”, c’è un servizio che supplisce alla mancanza delle elementari richieste per la sopravvivenza. Servizio gratuito e sublimato. Nel M.E. si ha l’inizio della riorganizzazione del Patriarcato in senso moderno.

Il Medio Evo

Medio Evo è all’incirca il periodo che va dall’800 al 1300: in questi anni le strutture sociali, la cultura, l’ordinamento geografico e politico, insomma la civiltà europea vive una grande trasformazione. Dalla civiltà latina, dal mondo latino, dall’impero di Roma e dalla sua cultura, attraverso varie rotture e grazie al contatto con popolazioni diverse, si giungerà alla creazione degli Stati Nazionali. Nell’800 nasce ufficialmente il feudalesimo: Carlo Magno è incoronato Imperatore del Sacro Romano Impero. Dopo la frantumazione degli ultimi secoli, di nuovo s’impone un modello di Stato unitario, generale, addirittura universale.
Le lotte per le conquiste territoriali, intese come “conquiste alla civiltà”, riprendono vigore. Lentamente si sviluppano le lingue nazionali, e verso la fine di quest’epoca la spinta verso la cultura, specie scientifica, sarà fortissima. Insomma c’è una ristrutturazione generale, portata avanti dai nuovi potenti: battaglie, guerre fratricide, città una contro l’altra, accordi segreti, centinaia di migliaia (milioni?) di morti. La maggioranza riceverà ordinamenti e leggi dai pochi e potenti, e dovrà rispettarle se non vorrà incorrere in pene severissime. L’economia è rurale, contadine e contadini sono i costruttori del benessere dei signori, e quelli di loro che vorranno fuggire da una condizione misera, contribuiranno alla formazione delle città.
La città fa liberi, sì la scelta è facile per molti, ma la promessa di libertà non sarà mantenuta perché nella città quelli che hanno diritti civili sono ancora una volta unicamente i proprietari. Alle spalle c’è un signore prepotente, malattie, lavoro sfibrante ed espropriato, stato di dipendenza totale. Eppure, nella città, il contadino ha dei punti di appoggio: il mercato, dove vende i suoi prodotti, e la bottega, dove esprime la sua creatività e la sua cultura. Le città si gonfiano in poco tempo. (citare i dati)
La vita di città è tutt’altra cosa da quella di campagna, anche se, a conti fatti, l’emarginazione e lo sfruttamento mutano di nome e di modalità ma di fatto permangono. All’economia che va affermandosi in città, non servono schiavi, ma produttori intelligenti che diano il meglio di sé, persone da sfruttare fino in fondo perché non sono proprietà (Queimada).
Se queste linee di tendenze sono reali e si affermerà di lì a poco la ristrutturazione della nuova società, è vero anche che la società medievale è una grande confusione. Gli storici, prima di mettersi con pazienza certosina a cercare di forzare i vari elementi e di farli rientrare in questa o quella definizione, hanno per secoli preferito parlare di “secoli bui”, “età di passaggio”, “oscurantismo”.
Grosso modo si sostiene che fino al 1000 furono anni bui, di lassismo e austerità in attesa della fine del mondo e che dal 1000 in poi ci fu entusiasmo e gioia di vivere, nascita delle città, incremento demografico. Questo è vero ma non è tutto il vero. Dall’800 in poi ci sono guerre e pestilenze, ignoranza e rozzezza, ma appartengono a questo periodo le atmosfere incantate (certo, mediate dalla poesia, dalla letteratura) dei paladini di Carlo Magno e la sfarzosità della reggia. Carlo Magno stesso è rozzo e ignorante e avido ma è anche colui che promuove la cultura (università?). E dal 1000 in poi c’è rinascita ma anche molti problemi.
La verità è, l’ho detto, che nel M.E. (come del resto quando più quando meno in ogni epoca) convivono, influenzandosi a vicenda, tendenze diverse, diversi modi e costumi, diverse morali, diverse culture, e soprattutto convivono e si ignorano vicendevolmente “legge” e “usanze”. (Si badi anche alla difficoltà di comunicazione, sia viaria, sia culturale).
E’ importante capire che ogni generalizzazione della vita del M.E. è sbagliata. C’è confusione, un convergere di vari piani, determinati in gran parte proprio dalla ricchezza del periodo che stiamo esaminando. Il rapido succedersi di capovolgimenti, avvenimenti, prese di potere, promulgazioni di leggi, forzature ideologiche a livello sovrastrutturale, convivevano con una certa continuità e stabilità della consuetudine che ne viene a tratti sconvolta ma che sostanzialmente va svolgendosi e lentamente trasformandosi con gradualità.
Comunque, più che tentare una differenziazione cronologica (sebbene la terremo presente) o di seguire questo panorama complessivamente in trasformazione, abbiamo pensato, perché ci sembra più giusto, alla differenza delle classi dei gruppi sociali.
Se nel periodo feudale si possono già rintracciare alcuni elementi (proto) borghesi che andranno poi crescendo e affermandosi, certamente la struttura sociale è feudale e pertanto ci sono prevalentemente una condizione “nobile” e una “contadina popolare”. La discriminazione di classe resta sempre la più profonda e incisiva e con quella bisogna fare i conti, questo è vero. Ma ancora più determinante e netta è quella sessuale.
Ci siamo dunque presto rese conto della impossibilità della generalizzazione usata da tanti studiosi: la donna nel M.E., la famiglia nel M.E., o anche la vita quotidiana, gli usi… In senso generale e neutro, non hanno senso. Bisogna ripartire da quanto scrivevo prima. Dal modo in cui la donna vive e vede la realtà attorno, da come vi opera.
Per questo di volta in volta, tema per tema, cercherò, per quanto è possibile, di scindere e di specificare le diverse situazioni e condizioni in cui da sempre la donna ha esercitato il suo difficili mestiere di vivere.

La donna e la famiglia

La famiglia: certo la sua organizzazione è quanto di più deleterio si possa immaginare per la donna. La famiglia nei termini moderni è creatura del capitalismo, è strumento privilegiato del potere per dividere, sfruttare, usare a proprio piacere e a proprio vantaggio gli altri.
Questa famiglia e questo modo nuovo, moderno ed efficace di oppressione delle donne, ha le sue radici nel Medio Evo. In quell’epoca infatti nascono i presupposti della formazione della moderna divisione delle classi, in quell’epoca il potere ristruttura in termini moderni il patriarcato e in quell’epoca la funzione di uno dei più acerrimi nemici delle donne diviene preponderante e attivissimo: parlo della Chiesa.
Essa da sempre ha costituito un punto d’appoggio (un’attività) per chiunque volesse opprimere chiunque: la sofferenza è segno della benevolenza divina, l’accettazione e la passività sono le virtù del cristiano e delle anime belle, la donna è oggetto di piacere, la donna è peccatrice. E come la mettiamo con la Madonna?
Ma dicevo, se da sempre la sua posizione è stata ostile e settaria (i discepoli di Gesù), nel M. E. essa va all’attacco e trova nella famiglia la soluzione al problema (anche a quello della Madonna): la sacra famiglia. E anche la nozione della verginità è diversa da quella della castità dell’uomo. La fonte della libidine è la donna (quasi quasi mi va bene) e dunque il maschio è casto se riesce a guardarsi dalla femmina, la donna è vergine se riesce a reprimere se stessa, la sua natura peccaminosa. Ma anche questa esaltazione della verginità (di Maria, delle Sante) serve alla costruzione dell’istituto matrimoniale. La donna o è vergine o è sposa e madre. Che faccia la donna, non se ne parla. La donna, dunque, ha fatto poco la donna, non possiede la sua storia né la Storia, non possiede la sua cultura né la Cultura, non ha tradizioni, e oggi riesce faticosamente a imparare poco per volta a essere donna, a pensare donna, scrivere guardare a parlare donna. Vorrei chiarire: come già detto, la donna non è semplicemente non esistita, ha pesato con un suo apporto reale e continuo ma di quello, volta per volta, è stata espropriata dall’uomo che spesso lo ha mistificato, o ha pesato con la stessa defezione. La musa ispiratrice, le fedeli compagne, le pazienti amiche: chissà quanto devono loro i maschi non solo in senso lato come appoggio e conforto, serenità, ma anche per tanti precisi suggerimenti, felici intuizioni, che poi loro, gli uomini, adottavano.
Per questo, ripeto, la storia che ci interessa scrivere non è la storia delle donne ma quella del rapporto donna-uomo naturalmente e dichiaratamente vista dalla parte delle donne. Perché è proprio a questo punto che c’è l’espropriazione reale, nel momento del racconto della storia e quindi della formazione della tradizione e della cultura. L’uomo non ha scritto una storia del rapporto uomo-donna, (come non ha scritto una storia del rapporto civiltà bianca occidentale nordica e civiltà nera, rossa orientale e sudista) neanche vista da parte dell’uomo. Il che sarebbe stato di parte ma accettabile e ci avrebbe lasciato il nostro spazio e la nostra autonomia, ma ha scritto La Storia tutta sua, dove di tanto in tanto compare una Donna eccezionale.

Nell’età che stiamo esaminando anche la famiglia vive le contraddizioni che abbiamo segnalato e dunque è difficile definire in tutte le sfumature la condizione familiare nel M. E.. Certo, esistono delle linee di tendenza più marcate di altre che cercheremo di rintracciare.
Una cosa va detta subito: il concetto di famiglia e quindi la pratica della vita della famiglia corrisponde di volta in volta alla propria epoca storica. Oggi è in discussione la famiglia borghese, in crisi, perché è in discussione la borghesia. E’ in discussione l’identificazione famiglia e matrimonio, amore e possesso; se separatezza e comunità siano contraddittori e in che misura, quale rapporto ci sia tra autonomia e impegno comune, tra libertà e senso di sicurezza. E’ in discussione e in trasformazione il concetto di famiglia borghese perché è in discussione la struttura che il potere capitalista ha voluto creare e per primo il ruolo della donna. Resta comunque molto difficile non assumere i nostri parametri, il nostro linguaggio anche riferendoci al passato, e questo in parte è giusto perché a volere “storicizzare” tutto alla fine non si capisce niente, ma bisogna aver presente che noi siamo un “dopo” di quel “prima” che andiamo studiando e che allora le cose erano molto diverse. Esiste al di là della fluidità cui accennavo una realtà familiare alla cui scoperta andiamo.
Per quel che riguarda la famiglia aristocratica, la parentela, il lignaggio, aveva un’importanza eccezionale. Addirittura sono identificati “amico” e “parente” (è attestato in alcuni codici gallesi, cfr. Block p.58) ma il fenomeno è ampiamente esteso. Ma attenzione: i parenti sono i diretti sostenitori di un potente e questo sentimento unitario non deve richiamarci reali affettivi familiari che farebbero immaginare una successiva disgregazione affettiva della famiglia, né il vecchio senso di familia latina, piuttosto da questa concezione ne è venuto il termine e la pratica del “nepotismo”, il termine e la pratica di “famiglia mafiosa”.
Alla base del sentimento della famiglia c’è il sentimento del potere della famiglia stessa, e questo più è grande, questo potere generale, tanto più grande è il potere di ciascun componente. Per questo il senso della tradizione, della discendenza, dei legami familiari orizzontali e verticali sono vivissimi. Si pensi come era necessaria la difesa del gruppo familiare da parte di ciascun esponente dal momento che anche dall’esterno la famiglia era intesa come un tutto unico, e la rovina di uno era o poteva essere la rovina di tutti, la colpa di uno era colpa di tutti. E le vendette cadevano sulla famiglia in generale così come l’amicizia tra due individui comportava l’amicizia tra due famiglie. Del resto ancora oggi ci sono le faide familiari, i casti tradizionalmente nemici, o all’opposto legati da comuni interessi. Naturalmente la difesa delle ricchezze e del patrimonio di famiglia dagli estranei, non esclude però feroci lotte interne.
Qual è il peso reale della donna in questa famiglia? Quale il suo ruolo, la sua vita? Da un certo punto di vista la donna aristocratica del M. E. ha potere: le sue relazioni le fanno assumere un peso a volte determinante nella lotta tra le famiglie, la possibilità di dare il proprio casato e la propria eredità la fanno considerare con rispetto anche dai figli maschi, ha spesso una cultura maggiore del marito, (donne colte ce ne sono, cita Thomas in agenda rossa), è spesso referente privilegiato e protagonista della letteratura e dell’arte e così via, ma sempre all’interno di una società profondamente maschilista. (S. De Bevoir, p. 128-129).
Bambina, anche piccolissima, è sposata o per lo meno promessa a un altro bambino, ma spesso a un adulto che sarà dunque vecchio quando per lei cominceranno gli anni della fanciullezza e quindi del matrimonio. Se non è stata già promessa attende con ansia e timore e speranze che il suo sposo sia bello e gentile, ma attende soprattutto per cambiare vita, quella sua vita monotona sempre al chiuso del castello. Da sposa presto si disillude delle sue aspettative, il matrimonio medievale non prevede amore e non prevede neanche intimità. La stesa disposizione delle stanze la dice lunga. Sulla sessualità ci fermeremo in seguito. Qui basta segnalare che per amore si intende sentimento (idealizzato o no) che mancava nel matrimonio, invece la cura del piacere femminile era ignorato.
L’uomo potrà conoscere l’amore liberamente come e quando vuole, mentre la donna dovrà spesso accontentarsi di scambiare occhiate furtive con paggi e cavalieri e essere celebrata come donna pura e casta o altrimenti vivere passioni che, poiché uniche e segrete, spesso la esalteranno oltre misura. La castellana ha spesso molti figli che vivono al castello la vita degli adulti e che non hanno con lei, in generale, un rapporto particolare, preferenziale. Verso i sette anni sono mandati come “apprendisti” presso altre corti.
Nel matrimonio che doveva essere la liberazione della tirannia paterna, le donne trovano la tirannia del marito. La castellana non è vissuta come donna. E non conosce mezze misure: o è l’abile intrigante di corte, la cortigiana favorita del signore o comunque di quelli che contano, o è casto emblema di sposa e madre. Così che troviamo donne succubi della chiesa e dei suoi precettori ascoltare con riverito timore le condanne alla sua natura scagliatole contro dai padri della chiesa. S. Paolo: L’uomo non è stato tratto dalla donna…; Come la Chiesa è sottomessa al Cristo così la donna al suo sposo… E Tertulliano: Donna, tu sei la porta del diavolo. S. Ambrogio: Adamo è stato tratto al peccato da Eva; S. Giovanni Grisostomo: Tra tutte le belve… (Cito da S. De Beavoir, pag. 125-126). E così, una delle attività delle castellana è quella di dedicarsi alla “pietà” religiosa: prega, si consuma, fa penitenza. La chiesa anche ai nostri tempi ha potere ma in quelli la sua capacità camaleontica non ha confine. Il potere della chiesa è uno, ma il modo con cui si espleta, i ruoli che assume a seconda degli strati sociali, i modi con cui è vissuta dai suoi stessi ministri, sono diversissimi.
Anche la donna contadina prega ma soprattutto lavora. E questo suo lavorare a pieno ritmo “come un uomo”, questo essere produttrice la fa “persona”, ma attenzione, non donna. Cioè il lavoro la emancipa ma la incanala, pur se con differenze, nel ruolo maschile.
Da un lavoro di Luzzatto, uno studio che compì in alcune località delle Marche, veniamo a sapere che, negli elenchi dei servi, le donne, indicate come “mancipia”, addette alle industrie domestiche (e cioè nelle produzioni all’interno della casa), a Forcone sono 55 e sono distinte in due categorie create giusto per loro visto che non c’è l’eguale riferito al maschio: “quae bene laborant” e “quae mediocriter laborant”. A parte questo, e a parte lo “ius primae noctis” (cfr anche Dario Fo) e quisquilie del genere, la lavoratrice della terra segue la sorte dell’uomo. Lavorano come animali (a volte vengono elencati accanto a “cetera animalia”), spesso vivendo in promiscuità in grandi capannoni: per questo motivo i figli prendono la maggior parte delle volte il nome della madre. Siamo ancora prima del 1000: in questo periodo, a livello dei servi, non esiste se non molto raramente, la famiglia. Dopo il 1000 e via via col passare del tempo, lo stato di servitù assume meglio le sue caratteristiche e si va distanziando dalla schiavitù. Così si parla di operai e operaie, i contadini vanno legandosi alla terra, e le famiglie stabilizzandosi.
Ancora Gino Luzzatto: La personalità giuridica (va) non all’individuo ma alla famiglia (serve per legare il contadino alla terra), il possesso (è) legato al gruppo familiare, di modo che l’individuo non ignorasse che, soltanto continuando ad appartenere a quel gruppo, egli poteva godere i vantaggi dell’eredità e lo si obbligava a rimanere fisso su quelle terre su cui padre e nonno avevano lavorato (p. 147). C’è una regolamentazione sui matrimoni dei servi: non fuori dal contado, non tra liberi e servi (però: se una libera sposa un servo diventa serva, il caso contrario è quasi inesistente, ovviamente), e sono spesso matrimoni tardivi a causa della povertà. Fermandosi e legandosi alla terra i contadini stabilizzavano anche la famiglia, che è estesa, conta varie generazioni, con legami via via sempre più sottili ma validissimi.
Esiste anche il nucleo coniugale e man mano i contadini che non si spostano finiscono per tramandarsi di padre in figlio il contratto di lavoro sulla terra, e a volte la terra stessa. Così si viene radicando la stazionarietà dell’economia rurale e della famiglia e benché anche la donna lavori a tempo pieno comincia ad essere vissuta come “la moglie del” firmatario del contratto e comincia ad accettare ruoli di reale subordinazione al marito oltre che direttamente al signore. L’ereditarietà anche nella famiglia contadina finisce per dover esigere un maggior controllo sulla “legalità” della nascita: il matrimonio diviene possesso della donna, della sua capacità fecondatrice e dei suoi frutti perché a questi frutti, se legittimi, il padre, morendo, lascerà il patrimonio e la continuazione del proprio lavoro.
Il lavoro della donna in campagna è estenuante: fa tutto. Ara i campi, partecipa al raccolto, alla mietitura, alla cura degli animali, alla cura dell’orto e dei suoi prodotti, divide insomma in pieno la fatica dell’uomo e con lui va alle feste scandite dai tempi della terra. La cura dei figli è minima perché anche negli strati sociali più poveri il bambino vive in pieno nel mondo dell’adulto. E anzi, qui, dove il lavoro della donna è prezioso, è impensabile si distogliessero tali energie per la cura “semplicemente” dei figli. Ma sul rapporto con i figli ci fermeremo in un capitolo a parte. Il matrimonio comunque era tardivo a causa della povertà e questo spiega anche l’abbondanza di servi “celibi”.
Anche la donna contadina nel matrimonio non trova l’amore e certo l’aveva “sognato” meno della aristocratica. Ma nella casa la donna sposata ha un suo ruolo e un suo potere. La casa è il suo regno anche se spesso deve dividerlo con le cognate e contenderlo alla suocera, inoltre, a causa della rigida divisione del lavoro essa deve produrre quanto le è stato assegnato, ma comunque ha le sue responsabilità, ed è lei che amministra il denaro e che sovrintende alla vendita di animali e prodotti agricoli.
La citazione di Boccaccio di G. Paola (p. 97) sono interessanti. Si ragiona d’amore ed evidentemente si fa l’amore in gioventù con una certa libertà. Resta da vedere cosa era l’amore. Credo sia possibile pensare a contatti fugaci, a sentimentalismi, ad emozioni che certo erano più vive e sentite allora, visti i costumi più chiusi. Cioè impallidire d’amore oggi è impossibile ma ricordiamo le violente emozioni vissute da ragazzine e forse non hanno le ragazze di oggi. Il reale contatto fisico è tutto da verificare. Forse era frequente, forse era impacciato, visti anche i vestiti di allora. Sarebbe interessante fare studi sul concetto d’amore. (Ma la società di cui parla Boccaccio è un po’ dopo di quella esaminata). Sarebbe interessante confrontare gli exempla, gli eventi cui B. si ispira con le sue novelle.
In base a questo, continua a dire Paola, (p. 88-99), in fondo non è importante stabilire se andavano a letto. E’ chiaro che gli impulsi sessuali sono diversi a seconda le epoche, ma non capisco se P. capisca che in questo senso la donna è oggetto. Non è lei che conduce i rapporti, quindi viene determinata da chi li conduce (l’uomo), ed è l’uomo a condurli perché, essendo essi i risultati di un’ideologia, ed essendo l’ideologia il risultato di una condizione di classe, del possesso o meno del potere economico, l’ideologia è determinata dagli uomini. Sono essi che scandiscono le forme dell’amore, dunque. Solo oggi anche la donna vuole essere protagonista. Allora, dal punto di vista dell’uomo, non ha importanza se le donne andavano a letto con i loro amanti o no. Ma dal nostro, di donne? Io credo di sì. E’ diversa una donna che ama ed è libera di avere rapporti da una repressa. Ma poi penso a me di 15, 18, 20 anni. Quelle esperienze sono meno importanti di quelle avute più tardi? Ora, dopo la liberazione sessuale? No, sono molto diverse.

Ipotesi del Piano dell’Opera

Introduzione: - metodo di lavoro
– perché il M.E.

Quadro storico 800-1300:
- confusione e bordello,
- leggi-pratica,
- date storiche-quotidiano

La donna aristocratica: la famiglia nobile, figli, lavoro, sessualità, amore, chiesa, criminalità,
scolarità e cultura

La donna artigiana-proto borghese: medicine, streghe, (più gli stessi temi di sopra)

La donna contadina: stessi temi di sopra

La letteratura e “la” donna: mito e realtà.

L’ordinamento giuridico

Illustrazioni e tavole: (Storia d’Italia, vol. II)

Interviste

Bibliografia
Aries, Padri e figli – L. Balbo, Stato di famiglia – Agapik Manukian, Famiglia e matrimonio…- C. Saraceno, Anatomia della famiglia + La famiglia nella società contemporanea – Michelet, La strega – Irigaray, Questo sesso che – Powell, Vita nel M.E.

Luzzatto, Dai servi della gleba agli albori del cap. + Breve storia dell’Italia Medievale + Tramonto e sopravvivenza del feudalesimo – Huizinga, Autunno del M.E. - L. Thomas, Caratteri, costumi e spirito delle donne attraverso i secoli

Fasoli, La vita quotidiana nel M.E. , in Nuovi Quaderni di S.M. Sulla condizione della donna –
Tabacco, Il tema della famiglia, in Quaderni Storici, maggio ‘76
Lea Melandri, L’infamia originaria (L’erba voglio)
Auschen, La famiglia, la sua funzione, il suo destino (Milano, Engels)

Da tenere presente:
Famiglia come struttura e istituzione (aristocratica, borghese (?), contadina), e senza famiglia.
Famiglia Contadina:
DWF 77, n. 3, p. 14
Manukian: p. 43-56/ 79-91/ 129-131
Balbo: p. 9-19 (però è sul 700)
Saraceno (titolo illeggibile): 37-86
Saraceno (Famiglia) : 32-60/ 85-86
Powell: 13-34
Famiglia Aristocratica:
Manukian: 57-77/ 125-136/148-151/ 157-187/ 189-204
Powell: 110-140/ 148-160/ 192-198 (dopo il M.E.)
Saraceno (stesso titolo illeggibile): p. 50
Le Goff: p. 227
Donne aristocratiche (e borghesi):
Manukian: 96-122/ 70
Francesi: 27-28-29
Donne povere:
Le Goff: p. 310/ 287
Famiglia borghese: p. 131-132/ 137-143/ 151-154/ (da notare che certi discorsi fatti vanno dal 1400 i poi. Cfr. prefazone Manukian)
Sessualità: Manukian: p. 150216

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