Ricordare Laudomia Bonanni

9 Dicembre 2020

Breve appunto per: Ricordare Laudomia Bonanni (e leggerla, e studiarla)

L’8 dicembre è l’anniverario della nascita di Laudomia Bonanni (8/12/1907-2/2/2002), scrittrice stimata da artisti e critici come Eugenio Montale, Emilio Cecchi, Giuseppe De Robertis, Enrico Falqui, premiata in più occasioni (Premio Bagutta, Premio Soroptimist, Premio Viareggio, Premio selezione Campiello, finalista tre volte al Premio Strega…), tradotta in francese e spagnolo, conosciuta e amata dal grande pubblico, eppure anche lei dimenticata al punto che oggi poche e pochissimi la ricordano.

La sua “fortuna” durò, tra alterne vicende, per circa 30 anni (più o meno dal 1948 al 1980), da quando, dopo aver pubblicato in piccole case editrici, Laudomia Bonanni vinse il Premio Bagutta (1949), conquistandosi la stima della Bellonci e l’accoglienza nel salotto degli Amici della Domenica. Ma già in questi primi anni la frequentazione non fu sempre serena: i salotti letterari non sempre capirono e accettarono il suo carattere schivo e intransigente né tantomeno il suo disinteresse, non nei confronti del successo, ma nei confronti di quello che la Ortese definì il “teatrino della letteratura”, così la fragilità di questa donna forte e combattiva fu messa a dura prova, e presto, benché continuasse a pubblicare con successo opere importanti, soffrì di crisi depressive (soprattutto dopo la morte della madre). Trasferitasi a Roma, come consulente del Tribunale Minorile, continuò a scrivere e a pubblicare ma a poco a poco si ritirò e/o fu allontanata, fino alla cancellazione della sua esistenza e della sua opera (che però è nei nostri geni e ci fa quelle che siamo, come donne e come scrittrici).  In realtà, la cancellazione (subita e scelta) di Laudomia Bonanni accadde perché era una grande scrittrice e una donna esemplare: perseguiva le sue visioni e metteva in scena ciò che era necessario sul piano poetico (per se stessa, la sua etica, il suo sguardo) senza fare la minima concessione all’esterno. E questo è il compito di ogni grande artista, anzi la sostanza dell'essere artista. Annoto velocemente che questo percorso di Laudomia dovrebbe farci riflettere sul significato e sui modi della cancellazione, termine che introdussi nella critica femminista anni fa sostituendolo a quello di assenza, creato dalla cultura patriarcale, che continua ad essere praticato anche se con differenti modalità.

Laudomia, con un linguaggio esplicito e nuovo, scrive contro la guerra, descrive la condizione di minori “difficili”, denuncia l'educazione sessuale repressiva, indaga l'anima femminile borghese, e soprattutto segnala la compattezza di un mondo così costruito, la responsabilità della così detta civiltà. Per questo, la sua presa di parola, da un certo momento in poi, oltre a non piacere a lettori tradizionaIi, conservatori, clericali, subì il ridimensionamento progressivo perfino da parte di critici di una certa sinistra. Il suo sguardo, attaccando le basi dell'assetto sociale, dei canoni letterari, dell’indiscusso potere maschile e di classe, suonava "disgregante". Qualche breve esempio.

Sin da II Fosso e Mostro, Laudamia Bonanni tocca zone oscure riguardo la sessualità, poco frequentate dalla letteratura, essendo delle realtà di cui solo le donne riuscivano a cogliere le implicazioni. Segnalo che storie di spose bambine erano state trattate già da altre scrittrici, penso a Donnina di Grazia Pierantoni Mancini del 1892. Quando Il fosso va in stampa, nel 49, Laudomia aggiunge altri due racconti, entrambi incentrati su un tema su cui tornerà spesso, quello della Pace, sottilineando la facilità della convivenza tra i popoli sia pure ufficialmente nemici, perché le persone “normali” sono libere da quella necessità di fare la guerra che hanno i potenti (per motivi politici, economici, di controllo di territori). Ricordo che Caterina Percoto è stata la prima, tra scrittori e scrittrici in Italia, a denunciare le violenze sulle popolazioni civili, in particolare su donne: la sua raccolta di Racconti è del 1858. In Palma e le sorelle (1954), tutti soggetti femminili come anche in Città del tabacco (1977), Laudomia presenta vicende terribili, con al centro ancora la sessualità repressa e sviata, e dimostra che al fondo di disagi e devianze ci sono la tenerezza, il desiderio d'amore e di libertà, sentimenti sognati e frustrati dalla condizione in cui sono tenute le donne. Vietato ai minori (1974), sui ragazzi così detti difficili (maschi e femmine), delinquenti, ritardati, poveri, in realtà intrappolati in vite inqualificabili.

Laudomia Bonanni, prima come maestra elementare e poi da giudice onorario nei tribunali per minori,  conobbe e verificò in prima persona ciò che racconta: ha guardato e visto indecenze che le hanno procurato rabbia, dolore e dunque necessità di dare forma ai suoi sentimenti e voce ai senza voce. Le sue riflessioni, i suoi racconti, sulle donne, sui bambini e sull'infanzia negata, offesa, oltraggiata, la sua visone di ciò che è il carcere, la reclusione, la funzione stessa della esclusione, mi ricorda Foucault: “Uno degli strumenti di guerra strisciante è l'esclusione sistematica di chi venga qualificato come "diverso".” Consuetudine ancora attiva, e, credo, accresciuta in molte anche insospettabili realtà.

Il bambino di pietra (1979), ancora sulla sessualità femminile. La protagonista, affetta da "sindrome di angoscia", in qualche modo prende consapevolezza di sé, grazie a un tragitto memoriale che svela l'ipocrisia, i ruoli della società borghese e dell'educazione repressiva sulle donne, arrivando fino al rifiuto della "maternità naturale". Tema ripreso ne Le droghe (1982), modernissimo dipinto sociale, dove Laudomia sostiene, tra l’altro, che la maternità vera non è quella naturale.

Dunque scrittura dura, materica, unica possibile per la rappresentazione di tematiche, ambientazioni e creature marginali (secondo il comune sentire), vale a dire umanità di confine fatta di escluse e di esclusi, seconda realtà (Ortese) ignorata dalla letteratura o glorificata come mondo dei vinti da Verga (al quale improvvidamente alcuni hanno accostato Laudomia).

Ho ripetuto spesso che Laudomia Bonanni è tra le scrittrici italiane che mi emozionano. Tra quelle che, a leggerle, mi fanno percepire compiutamente il compiersi del miracolo della poesia Con loro avverto nella pelle, nel cuore e nella testa, quel rapporto magnifico che si instaura tra lettrice (la buona lettrice) e scrittrice, rapporto che decenni fa definii “essere levatrice l’una dell’altra”, e dunque accogliersi e darsi al mondo reciprocamente.

Come tutte le scrittrici e poete che amo, insomma, oltre a darmi il piacere puro della lettura e la gioia di scoperte, mi svela visioni trascurate, e non solo del mondo che lei ri-crea e svela ma di me stessa, permettendomi di avvicinare parti mie nascoste, profondità di pensieri e visioni e nuove parole.

Come la scrittura di Annamaria Ortese, Elsa Morante, Grazia Deledda, Fausta Cialente e altre scrittrici che amo (diversissime l’una dall’altra), anche quella di Laudomia Bonanni ha a che fare con il corpo, che esplora lo spazio, lo legge, lo soffre, e, grazie ala capacità percettiva e alla sensibilità politica e di trasformazione del vissuto, dà forma alla "seconda realtà" (Ortese). (Ma per carità non alludo a un Canone femminile: la distruzione del Canone tradizionale non è, non dovrebbe essere, instaurazione di un nuovo Canone, ma libertà dai Canoni, e, almeno per ora, produzione di esempi e non modelli).

Per questa via, quella del primato dell'esperienza vissuta, della percezione dei sensi e della successiva rielaborazione del mondo, comprendiamo perché Laudomia Bonanni fu accostata a Virginia Woolf da qualche critico.

Con Annamaria Ortese anche molte affinità, non per gli esiti lingistici e nemmeno per le tematiche, ma per ciò che guida la scrittura stessa: la fortissima istanza etica, l’affidamento alle parole, la ricerca di Pace. Il “cercare la calma….e quache volta trovarla” di Annamaria Ortese è, in Laudomia Bonanni, toccare il mondo con lo sguardo e rappresentare ciò che ha ferito gli occhi, ciò che è oscuro, inquietante, e che chiede di avere forma e voce. Alla Ortese l'accosta anche il giudizio netto e respingente del mondo pseudo intellettuale e  culturale a cui entrambe non potevano sottrarsi, pena l'assoluta invisibilità, ma al quale si accostano con fastidio, disprezzo a volte, prevedendo con chiarezza il futuro: l'assoluta preminenza delle leggi di mercato e la fatalità di certi posti, certe persone, eccetera. Laudomia ci prova, con impegno, speranza, illusione (prova ne sono le lettere con personaggi importanti, il suo sforzarsi di non urtarli, di essere diplomatica e il non riuscirci sempre), ma il Canone (letterario, sociale, maschile) è forte, compatto, esclusivo. Così inevitabilmente si avvia una crescente resistenza nei confronti di Laudomia Bonanni, e tanto più perché era donna che, da donna, di donne popola le sue storie, fino ad arrivare al silenzio.

Dopo che il bellissimo Le droghe non ebbe recensioni e l’ultimo suo lavoro, La rappresaglia, fu rifiutato da Bompiani, lei smise di scrivere. Eppure La rappresaglia (postumo, Textus, 2003) è un magnifico romanzo, ancora sulla Guerra e sulle donne: "Io sono la rivoluzione", dice Rossa. L’intuizione formidabile di Laudomia sta nel far compiere a una donna (Rossa) un gesto rivoluzionario, ma soprattutto nell’asserzione che il femminile in sé è Rivoluzione (nel senso di autenticità, continua crescita, purezza, rifiuto di accomodamenti).

Resto dell’idea che la cancellazione (subita e scelta) di Laudomia Bonanni come sempre accadde perché era una grande scrittrice e una donna esemplare: perseguiva le sue visioni e metteva in scena ciò che per lei era necessario sul piano poetico (per se stessa, la sua etica, il suo sguardo) senza fare la minima concessione all’esterno. E questo è il compito di ogni grande artista, anzi la sostanza dell'essere artista.

 

(2020)                                                                                  Anna Santoro

 

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