La triste pratica della cancellazione (1)

26 Marzo 2021

La triste pratica della cancellazione, che riguarda donne, uomini, anziani, infanzia, atteggiamenti, modi di essere, popoli interi, e perfino nazioni, paesi, territori, prodotti culturali e anche commerciali, eccetera eccetera, è propria della cultura maschile, prima ancora di essere maschilista. La nozione piramidale dell’esistenza (il capo  branco e via via i suoi dipendenti,  ma anche il famigerato “vuoi più bene a mamma o a papà?”) è frutto e causa della diseguaglianza e della prepotenza che ha creato la diffusa convinzione (essa stessa prodotta dalla cultura della cancellazione) che ci sia un bene e un male, un pensiero unico, una scala di valori fissata e il diritto del capo, del più forte, di cancellare ciò che non gli va (perché mette in discussione il suo verbo, o semplicemente perché dilata la percezione dell’esistenza fuori del suo controllo), ciò che non è prodotto o produttore della stessa piramide e che dunque non ottiene il suo consenso, e di disporre nella piramide come fantoccini gli altri, le altre.

Il pericolo è enorme. “Secondo M. Foucault, tramite scuola, TV, giornali, riviste, l'assoggettamento da parte della cultura dominante (realizzato attraverso meccanismi sociali di controllo e di esclusione basati su ripetuti dualismi: noi e gli altri, i buoni e i cattivi, i giovani e i vecchi, i belli e i brutti, i sani di mente e i folli, gli eterosessuali e gli omosessuali, eccetera...), volutamente tende a creare dei non­ soggetti, cioè individui o gruppi che, ostacolati da proprie condizioni e dalle altrui azioni coercitive, non riuscendo a liberarsi e ad appropriarsi di se stessi e dei proprio spazio, spesso finiscono per scegliere forme di violenza sempre più distruttiva e autodistruttiva.” (A. Santoro, Il riscatto della condizione femminile dall'inferno dell'esclusione. In Passaggi all'inferno - La letteratura (delle donne) come strumento di liberazione e di riconciliazione, Cittadella della Pace, Arezzo 2004.)

Questo per dire che, da parte delle donne, rifiutare e/o ostacolare la nozione della cultura della differenza, comporta forse un poco alla volta il loro progressivo accoglimento nella società maschile e patriarcale, ma in posizione subalterna e, a mio avviso, snaturante e deprivante di quanto esse stesse potrebbero costituire e costruire, lavorando su se stesse e sull’esterno.

Invertendo i termini: aderire a forme, come quella della cancellazione (e per di più da parte di donne su altre donne), significa accettare di essersi accodate a quello che Virginia Woolf chiamava “il corteo dei fratelli”, di aver  rinunciato cioè non solo alla trasformazione del mondo (non più dunque da rigirare come un guanto) ma di aver accettato la trasformazione di se stesse: da rivoluzionarie a gregarie. Se le donne per secoli si sono ribellate, a modo loro (e per questo sono state cancellate), se  è nato il femminismo nelle sue varie forme, è perché il mondo non va bene com’è, e alle donne non piaceva proprio, così che non può bastare (non deve) una molto incerta semplice sostituzione alle leve del comando (non siamo scimmie: ricordate Il pianeta delle scimmie?) che lascia tutto come sta.

A proposito dei vari liberismi pseudo femministi, alle rivendicazioni di pseudo libertà (faccio ciò che voglio) di autonomia, di scelta, il loro riesame ci riporta a decenni fa, quando alcune di noi iniziammo a destrutturare i segni del mondo e della scrittura (e di altre arti e discipline), i desideri imposti/indotti, i ruoli assegnati, la coscienza e la consapevolezza di essi. Dobbiamo partire sempre da zero?

Insomma, le donne sono diverse tra di loro, questo è certo, appartengono a una classe, per esempio, ed è importante, e guardano o no alla condizione sciagurata in cui siamo (donne, uomini, bambine, bambine, anziane anziani…e territori, clima, paesi…), decidendo da che parte stare, oppure pensano solo alla propria piccola immaginetta. I tempi sono cambiati. Cambiano anche le donne. Per quel che mi riguarda, continuare a ripetere da parte di alcune che vogliono la parità (che significa?, è come le famigerate pari opportunità in una società di classe, razzista, omofoba…), senza aggiungere la libertà e il riconoscimento della differenza, non mi interessa. Le donne in politica (per quel che ora si intende per politica, cioè i rapporti tra partiti e tra di essi e i poteri economici) se non marcano differenze, s non danno forma al loro essere differenti, non mi interessano, anzi, mi preoccupano. Le donne che scrivono, cantano, fanno musica, teatro, pittura, fotografia…, o che fanno ricerca in campo letterario, scientifico, artistico…, se non cercano la propria dimensione, il proprio linguaggio, i propri segni, se sono interessate unicamente all’approvazione di istituzioni maschili e maschiliste, mi interessano poco. Naturalmente anche chi legge può essere disinteressata/o al mio pensiero, ma questo è.

 

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