Piccola nota su Spacciatore, che ha riaperto i teatri (e il Teatro) a Napoli 12-23 Maggio 2021

16 Maggio 2021

Tornata da Napoli, felice e piena di energie e progetti, ho trovato a casa mille problemi che mi hanno impedito di scrivere subito sui giorni passati nella mia bella città dal sole splendente. Ho rivisto amiche e amici, ne ho incontrat* di nuov*, ho preso contatti interessanti di lavoro, ho camminato le sue strade, le piazze, le scalette, ritrovato ricordi, scene di vita, emozioni. E ho visto Spacciatore che, dopo tanti mesi di chiusura, ha riaperto la stagione teatrale a Napoli, nel bellissimo Teatro Mercadante (amato e frequentato per anni, in tempi lontani) che è Teatro di Napoli e Teatro Nazionale. Questo spettacolo, la dirò semplice, mi ha emozionata. Non solo nel seguirlo, il 12 maggio 2021, ma anche nelle due sere successive, a parlarne e discuterne con il regista, con gli attori e le attrici, con l’autore della musica, con altri amici e amiche.
Spacciatore ha per sottotitolo: una sceneggiata (che è, per chi non lo sappia, commedia tipica della tradizione napoletana, rimaneggiata più volte con esiti diversi e intenzioni diverse), e di questa antica arte riprende atmosfera, linguaggio, temi, musicalità, accoglienza e restituzione delle passioni popolari, tensione alla comunicazione con il pubblico. Eppure è altra cosa. E’ altro il linguaggio, la musica, sono diversi i temi e i personaggi.
Pierpaolo Sepe, regista visionario, sperimenta (com’è solito fare) una contaminazione tra sceneggiata tradizionale (fatta di esasperazione di sentimenti, scelte drammatiche, e anche ironia, ammiccamenti), realismo moderno (penso alla scenografia post industriale/veterofatiscente di Francesco Ghisu), tragedia scespiriana, e la favolistica di Gianbattista Basile (atmosfere stregate strettamente saldate all’epilogo morale). E con nuovo linguaggio teatrale mette in scena un’opera che rende conto dell’oggi e a oggi. Fare teatro oggi, per Pierpaolo Sepe, è scelta artistica, etica, politica, che suscita e chiede attenzione e riflessione. Lo sfondo della vicenda, richiamato più volte, è la società moderna con la sua politica gretta e padronale, le ingiustizie che allargano sempre più le differenze sociali ed economiche, lo sfruttamento egoista dei più fragili, il disincanto di chi non ha voce.
Se penso alle sceneggiate più famose, quelle di Mario Merola, centrate sul personaggio principale, carcerato, emigrante, zappatore, perseguitato dall’avverso destino e spinto a gesti criminali dall’infamia degli altri, qui il discorso si fa più complesso (e ne dà conto la scrittura di Andrej Longo). E’ sul nostro oggi che Spacciatore sollecita domande che, in più, obbligano chi guarda a interrogarsi. E’ descritto un mondo di emarginati, assuefatti alla quotidiana precarietà, al teatrino faticoso e stancante che va in scena ogni giorno. Molti personaggi vivono in bilico tra ciò che appaiono e ciò che si rivelano: la ingenua fidanzata (Mariachiara Basso) si rivela egocentrica e infedele, la sposa (Daniela Ioia), gelosa fino alla delazione, si pente, intenerita dalle conseguenze del suo gesto, lo sventato spacciatore (il dolcissimo Riccardo Ciccarelli), fugge dalle responsabilità. Gli altri sono esattamente ciò che appaiono: il poliziotto (un bravissimo Ivan Castiglione), odioso sin dalla prima apparizione, l’amico Mercuzio (Daniele Vicorito), che pagherà cara la sua lealtà, il padre (Roberto del Gaudio), greve e vigliacco nonostante qualche sussulto, e il magnifico Dragon Ball, il drogato (Stefano Miglio, burattino straordinario che a tratti ricorda Totò), vittima finale di tutta la struttura sociale, capace, lui sì, di gesti eroici e generosi, sia pure per autoesaltazione, e (forse) speranza di cambiamenti inattesi nel futuro.
Non racconterò la trama, lasciando a chi avrà la fortuna di vedere lo spettacolo il gusto della scoperta, ma accenno al quesito di fondo che mi pare ponga lo spettacolo: quanti hanno consapevolezza delle proprie responsabilità in vicende che potrebbero anche apparire lontane? E le vittime della sequela di ingiustizie vanno comprese nelle scelte anche disastrose che compiono, o possiamo (dobbiamo) pretendere che anch’esse trovino la forza di rompere il cerchio?
A tenere compatta la storia e segnarne le svolte, a dare corpo ai personaggi e suono ai sentimenti, la musica e le canzoni, bellissime, di Francesco Forni, anche lui chiamato a sperimentare, con successo, suoni nuovi che nascono dal felice connubio tra tradizione e sensibilità moderna, tra sapienza ed emozione.
E, senza citare i nomi (sono tanti), chiudo con un grazie a tutte e tutti coloro che hanno contribuito alla resa finale di Spacciatore con il lavoro quotidiano (luci, costumi, scene, macchinisti… ) e in particolare a Valia La Rocca (aiutoregista) che, con grazia e senso pratico, ha curato la quadratura dell’insieme.

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