Gioia! Titolo perfetto per questa raccolta di racconti di Annie Vivanti che, a cento anni dalla sua prima edizione, Fve editori oggi ripropone alla lettura. Perché la gioia, grazie alle storie e alla modernità del narrarle, pervade questi scritti, spiritosi, ironici e autoironici, garbati, tuttora godibilissimi.

Sin da adolescente ho amato Annie Vivanti grazie ai testi presenti nella ricca biblioteca della mia famiglia, e più tardi, impegnata nelle ricerche sulle scrittrici italiane, ho letto quasi tutte le sue opere, ma questi racconti li scopro ora, per merito della coraggiosa casa editrice (che ha in stampa anche Naja Tripudians, sempre di Annie Vivanti) e li trovo deliziosi.

In essi, la scrittura è pura gioia (infatti!), veloce, ironica, ricca di invenzioni lessicali, sapiente nell’uso della leggerezza e dell’ammiccamento verso chi legge, impegnata a ricercare inedite soluzioni narrative, fino a rivoluzionare la struttura convenzionale del racconto. Grazie alla conoscenza, e alla frequentazione, del mondo galante e mondano del primo ventennio del secolo scorso, Annie Vivanti delinea figurine di donne in vesti spumeggianti, scialli eterei, cappelli a tesa larga, riccioli ribelli, e ne ricama le parole, i caratteri, gli stati d’animo, la fisicità, il modo di muovere le mani, usando con abilità i dialoghi, alternando espressioni in uso nel linguaggio parlato e citazioni in inglese, francese, tedesco. I personaggi maschili, sempre in secondo piano, fasciati in abiti alla moda o in rigide divise, cappelli duri, gesti e sguardi convenzionali, parole apparentemente focose ma in realtà meste.

Prende così forma lo sguardo femminile, spiritoso e (im)paziente, pervaso da un’indulgente superiorità nei riguardi dei maschi, del loro mondo, sguardo che, soprattutto nei romanzi, sa e vuole anche rappresentare la cultura convenzionale chiusa e oppressiva, violenta, nei riguardi delle donne. Ma ciò che interessa la scrittrice, mi pare, non è tanto la critica della cultura maschile (che pure è precisa e colpisce punti sostanziali) quanto la rappresentazione della libertà femminile. E la libertà di parola e di scrittura, dei toni, dei gesti, pare sottolineare la scrittrice rivolgendosi alle sue lettrici e prima ancora a se stessa, si deve alla piena consapevolezza di sé, alla verità dell’agire e dello scrivere, alla capacità, spiega in Lezioni di felicità, uno dei racconti qui presenti di “imparare ad essere felici”, e scrive: “bisognerebbe istituire dei corsi di lezioni speciali per insegnare alla gente – soprattutto alle donne! – come si fa ad essere felici”.

In fondo Annie racconta sé attraverso le sue protagoniste, o potremmo anche dire: dà vita a leggiadre e spiritose figurine femminili, partendo da sé.

Annie Vivanti nata a Londra nel 1866, figlia di un rifugiato politico, Anselmo Vivanti, e della scrittrice Anna Lindau, crebbe in un ambiente intellettuale e progressista che molto influì su di lei. Dopo anni di viaggi e di varie esperienze artistiche e intellettuali (frequentò anche il teatro), nel 1890 in Italia pubblica una raccolta di poesie, Lirica, con la presentazione di Giosuè Carducci, al quale lei rimase legata di affetto per tutta la vita. (Tra i racconti di Gioia!, ce n’è uno gustosissimo proprio riferito al rapporto con l’Orco). Inizia così un viaggio che le aprì la strada alla popolarità e ai riconoscimenti. In seguito Annie visse tra America e Inghilterra, pubblicando per lo più racconti e commedie in inglese.

Nel 900 si apre una nuova fase e in Italia inizia il trionfo, di pubblico e di critica. Annie riprende a scrivere, ispirata da vicende personali, anzi: familiari.

La figlia Vivien, violinista, si rivela un genio, e Annie, prima in un racconto, e più tardi, nel 1910, ne I divoratori, romanzo molto interessante, s’interroga sul rapporto tra “il genio” e chi gli sta attorno.

Seguiranno capolavori come Vae Victis! (racconto di guerra, invasioni, stermini di popolazioni civili, stupri, e così via), Naja tripudians, o raccolte come ZingarescaGioia, drammi, e via via si rafforzerà l’ideale quasi impalpabile di scrittura e di vita che la scrittrice possedette. Annie Vivanti continuò a scrivere e a impegnarsi per tutta la vita in campagne a favore di paesi oppressi e per l’indipendenza irlandese. Morì a Torino nel 1941, distrutta dal dolore per il suicido della figlia.

Amata da pubblico e critica (di lei scriveranno Croce, Borgese e altri importanti intellettuali del tempo), Annie Vivanti visse a pieno quella che definiva modernità, ma deve la sua fortuna, credo, alla capacità di mettere insieme sicurezza di sé, desiderio di dare forma alle proprie sensazioni, ai voli di fantasia, a una curiosità infinita nei confronti di persone, ambienti, eventi, a una vita in continuo spostamento, e, assieme, alla necessità di avere un’ancora, una sorta di protezione, che le permettesse tanta libertà e serenità.

Annie Vivanti è una scrittrice e una donna importante, andrebbe studiata con attenzione, approfondendo la sua sensibilità nei riguardi del suo tempo, le prese di posizione politiche, le ambiguità, i gesti rivoluzionai. E nella scrittura andrebbe valorizzata una caratteristica (presente anche in altre scrittrici dell’epoca, come Matilde Serao, Lina Pietravalle) molto interessante, anticipatrice di quello scrivere (di) sé, che, a distanza di più di un secolo, noi studiose femministe abbiamo rivendicato nelle e per le opere delle donne. La persona, il corpo, il soggetto donna, sono presenti nel testo, sia si tratti di narrativa, sia di saggistica.

A noi l’ha insegnato Virginia Woolf, ma Annie (e qualche altra) anticipa la nostra sapienza, e dà vita a una scrittura che vede sempre lei, il suo sguardo, la sua sensibilità, la sua grazia, al centro della scena, prendendo a piene mani dall’esperienza personale e collocandola in una visione complessiva.

Eppure va ricordato che oggi Annie Vivanti viene ricordata (quando lo è) unicamente accostando il suo nome a quello del Vate Carducci!!!. Dunque anche lei, come tantissime scrittrici (Maria Antonietta Torriani (la Marchesa Colombi), Eva Cattermole Mancini (la Contessa Lara), Paola Drigo, Clelia Pellicano, Lina Pietravalle, Eugenia Codronchi Angeli (Sfinge) e potrei continuare…), ha subito quella cancellazione, di cui ho scritto più volte, che ci ha sottratto, questo è importante, non dei nomi, pochi o tanti che siano, ma un mondo di sensibilità e di creatività, il contesto in cui hanno operato le nostre madri e la tradizione culturale che ci ha fatto così come siamo.

Operazioni come questa delle edizioni Fve ci restituiscono una ulteriore prova della consapevolezza che molte donne avevano, già in tempi lontani, del proprio valore, della propria capacità di leggere il mondo in altro modo. E di giocarci su.

Annie Vivanti, Gioia!, Fve editori, 2021, Pag. 184 – € 16 – Collana: Visionaria