Saper leggere le opere delle donne. Appunti (bozza) del 1995, corretti e usati successivamente nel mio Il Novecento

18 Agosto 2021

1996 Appunti (bozza) usati successivamente nel mio Il Novecento, Antologia delle scrittrici italiane del primo ventennio, Bulzoni 1997

Bisogna cioè sapere leggere le opere (e i giorni) delle donne in modo opportuno, pena la non comprensione di tutto un mondo, quello femminile, che appare misterioso e oscuro (e questo piace molto ad un certo immaginario maschile che ne ha fatto un mito letterario e cinematografico) unicamente perché non se ne conoscono (non si vogliono conoscere) i codici. Bisogna ricostruire i contesti e gli scenari, riflettere sul rapporto editoria-letterarietà-moda.

Diventa importante allora non solo cercare le scrittrici del passato che sono state cancellate dalla nostra memoria, e leggerle in modo opportuno, ma comprendere il senso di questa mortificazione.

Riflettiamo su questo punto: un’opera cambia a seconda di chi la legge (1).  Lo sguardo del critico non è al di sopra di convenzioni di carattere sociale, politico, oltre che estetico. Egli davvero non riesce a leggere un’opera che abbia in sé un contesto che egli non riconosce come proprio (2), non riesce a capire, nel senso letterale di accogliere, un linguaggio che non gli appartiene, che non lo “parla”. Un linguaggio che, come affermavo prima, forse appartiene ad un altro “sistema”, ad un’altra “cultura”.

Perfino il “senso letterale” non può essere inteso senza conoscenza del linguaggio, dei codici, delle citazioni, insomma del contesto sotteso (3) Sia in chi scrive, sia in chi legge. Tanto più se si tratta non di oggetti, per i quali la parola ha funzione denotativa, ma di emozioni, di immagini cariche di simboli. Parole come amore, paura, onore, violenza, pietà e così via, e anche discorsi che riguardino questi sentimenti e le vicende che li rappresentino, non hanno di per sé senso letterale fuori da un codice, fuori da un punto di vista e fuori da un contesto (4).

E’ come la vita la quale non solo può essere intesa in modi diversi ma è essa stessa altro per ciascuno di noi (5). Convengo che in questo modo si finisce per mettere in dubbio l’esistenza delle cose senza lo sguardo che le guardi, però, se è stato affermato che un libro non è tale se non è letto, che “cultura” è “coscienza della cultura che si ha”, allora bisogna accettare che la definizione di “testo” è sfuggente, che la “lettura” è un’operazione problematica e che insomma il senso dell’affermazione “il contesto fa parte del testo” è ampia e va a toccare regioni ritenute intoccabili.

La storia della critica letteraria, riferita alla produzione “normale” cioè maschile, ha potuto viaggiare in molte direzioni che, seppure via via superate e\o integrate, hanno comunque creato uno scenario (il “sistema letterario”) acquisito, via via arricchito (e anche messo in discussione) da studi sempre più articolati. Così alla fine, ciò che interessa il lettore-critico, giustamente, è il testo, perché della vita dell’autore, delle sue idiosincrasie, delle tappe intellettuali, degli incontri, dell’ambiente, delle realtà socio-politiche, delle eventuali citazioni, influenze, incontri, collocazioni politiche, del pubblico, della geografia, di tutto insomma ciò che fa parte del contesto di un’opera, sa già tutto, può darlo per acquisito, in qualche modo lo ha interiorizzato, lo ha trasformato nel suo “bagaglio culturale”. Dunque può non occuparsene, può dedicarsi alla lettura del testo e ai problemi che ciò comporta, perché in ciò è implicito anche tutto il resto.

E’ ormai comunemente (o quasi) accettato che lo scrittore sia “parlato” dal linguaggio che usa, che cioè lo “spazio creativo” di uno scrittore vari a seconda di ciò che succede attorno, della moda, delle scoperte scientifiche, degli eventi, delle guerre, eccetera, fermo restando la propria rielaborazione e la non casualità delle sue scelte,  e questo perché le arti, la pittura, la musica, la scienza, gli avvenimenti politici, la cultura di un’epoca insomma (per come è conosciuta dall’autore), entrano nell’opera e fanno la lingua che quell’autore usa. Creano il suo linguaggio. Creano il suo stile, cioè quel modo particolare di scrittura che l’autore si crea mediando tra socioletto e idioletto (6), tra tradizione, canoni stabiliti, continuità, uso e innovazione, particolarità, scarto.

Ciò che ancora si stenta a comprendere è che lo spazio creativo delle scrittrici è diverso: la percezione della realtà, delle cose, delle scoperte scientifiche, degli avvenimenti pubblici, dei fatti culturali, dei dibattiti politici o intellettuali, per le donne è diversa (7). Le donne -mi riferisco al passato, per ora- avendo un quotidiano diverso, possedendo una scala di valori diversa e un immaginario nutrito da miti propri, sono state forse meno -meglio: in modo differente- permeabili a eventi pubblici che nel frattempo facevano la lingua degli scrittori (8). Essendo insomma il loro scenario differente (viaggiavano meno, avevano nessuna rappresentazione di tipo politico -non votavano-, non erano rappresentate nel mondo ufficiale della cultura, vivevano un “ruolo” loro assegnato che le prevedeva mogli e madri di uomini, contorno insomma alla vera vita, al vero agire, e così via) ed essendo per questo, ma soprattutto per elezione, attente più ai sentimenti, ai comportamenti, ai valori del vivere quotidiano, hanno guardato alle questioni complessive appunto riflettendo sulla corrispondenza tra privato e pubblico, tra particolare e generale, cioè “partendo da sé" (9). Erano, potremmo dire, meno “colte” e anche “più limitate” nel senso dell’ampiezza delle esperienze pubbliche, sociali, politiche (10). Ma più profonde e colte nel senso delle relazioni, dei valori affettivi, dell’unità testa-corpo.

Per le scrittrici, dunque, il contesto dei loro testi è tutto da investigare (11) Come è da individuare ancora tutto il portato del paratesto, cioè dell’influenza dell’immagine (dei testi di donne) proposta al pubblico e conseguentemente alla lettura (12).

Ognuna delle nostre scrittrici, accogliendo nel proprio spazio creativo, ciascuna a suo modo, gli elementi che incidono sul suo linguaggio, attenta a non accettare indistintamente, per convenzione, la prospettiva maschile, la tradizione letteraria, i canoni dati, ma pronta a riconoscere e a usare il proprio sguardo, cioè quello di una identità cosciente,  a ri-conoscere, ri-creare, e a usare la propria parola, è in qualche modo riuscita ad accogliere elementi e relazioni che sono nel suo campo visivo (che è testa e corpo) magari mancanti in quello maschile, da un punto di vista originale, inedito, e solo in questo modo presenta delle invenzioni sul piano del linguaggio: quelle che sono riuscite a formalizzare questo nuovo, questo inedito, sono grandi scrittrici, o almeno scrittrici che cercano e non imitatrici di seconda mano.

 

1) Ciò era tanto più vero nei tempi passati perché minore era l’omologazione dei lettori (e delle lettrici) e anche degli scrittori (e delle scrittrici). Cioè i “canoni”, i punti di riferimento, l’immaginario sotteso, i metri valutativi, non erano così massificati come lo saranno sempre più con l’andare del tempo.

2) “Un lettore non può leggere un’opera cercando di rispettarla <...> se non é in grado di cogliere i riferimenti, le citazioni, gli scarti, le invenzioni e così via. Il lettore é come un viaggiatore e il suo approccio con luoghi e persone (col libro) può essere di tipo, dirò, <chiuso> o <aperto>. E’ chiuso quando il viaggiatore cerca nei luoghi lontani conferme a quanto di essi già sapeva. <...> Così per le donne, per i luoghi delle donne, per le scritture delle donne, il lettore pretende di non avere intermediari. Essi sono invece necessari <...> Si pensi ai simboli e alle metafore della Divina Commedia. Nel rapporto tra lettore e testo la “verginità” del primo nuocerà sicuramente al secondo, e infatti il buon lettore della poesia dantesca non é mai vergine” (A. Santoro, Ricerca e lettura... 2) La lettrice, cit. p. 100-101); cfr. anche: id, La lettura non é neutra, in Guida al Catalogo, cit.

3) In I limiti dell’interpretazione (cit), Eco usa la battuta di Reagan (“Fra pochi minuti farò bombardare la Russia”), per affermare che al di là delle interpretazioni, quelle parole posseggono un senso letterale dal quale si deve partire, per poi eventualmente interpretarlo.

4) Ancora relativamente poco tempo fa “violentare una donna” era un’allocuzione che non destava necessariamente orrore o riprovazione. Dico meglio: il suo significato alla lettera non significava ciò che alla lettera significa oggi. Le prime scrittrici che toccano questo tasto non sono capite neanche per ciò che riguarda il senso letterale del loro discorso, della loro denuncia Penso per esempio a G. Mancini Pierantoni, al suo racconto Donnina (cfr. Narratrici), o al bellissimo romanzo di Paola Drigo, Maria Zef, ma anche a racconti qui antologizzati, e a tanti altri...

5) Infatti ci sono i poeti, le poete, che fermano l’incontro del proprio sguardo con la cosa guardata e fanno poesia e dilatano la visione del mondo, perché dicendo l’indicibile creano altro indicibile.

6) Cfr. Runcini e magari altri.

7) “...le indagini sulla letteratura e sulla scienza della letteratura possono in certo senso dare per acquisito il bagaglio di nozioni e di informazioni che si posseggono sugli autori (e anche le inchieste psicologiche, psicanalitiche, sociologiche, filologiche, filosofiche, antropologiche...) per poter affermare che l’oggetto della operazione critica é il testo. Questo per gli autori. E per le autrici?...<...> Può il testo di un autrice essere letto con le stesse modalità di un testo di autore? Si può dare per scontata la conoscenza di ciò che c’é dietro la sua scrittura?” (Santoro, 1990d, p. 99).

8) Nella Prefazione a Narratrici italiane dell’Ottocento, a proposito delle autrici lì presentate, scrivevo: “...assieme a ciò, la donna impara a scrivere per se stessa. Queste undici donne, infatti, sono delle scrittrici: sono tutte interessanti <...>Certe pagine o certe frasi, certe finezze interpretative, certe parole connotative di gesti, di stati d’animo, di ambienti, sono di un livello raramente raggiunto. Queste scrittrici sono in fondo meno legate degli scrittori alle “etichette” delle varie correnti. Così c’é sempre un po’ di tutto: Manzoni, Verga, l’ambiente e lo scavo psicologico, la rappresentazione e il racconto...e ci sono le influenze dei narratori (e delle narratrici) stranieri” (Santoro 1987a, p.20)

9) Caterina Percoto, che é stata la prima in Italia, tra scrittori e scrittrici, a trattare gli orrori della guerra (cfr.  Santoro 1987a, p. 25-32) lo fece perché, lontana dall’esaltazione della “gloriosa divisa”, poté constatare, come tutte le altre donne, ciò che di fatto comportava la guerra: le morti, le devastazioni, le mutilazioni, la sporcizia, eccetera. La sofferenza delle madri, delle mogli, delle figlie, ancora incapaci, per scarsa autostima,  di manifestarsi contro un mito così forte (appunto: la gloria militare), trovò in lei la voce capace di scagliarsi contro la carneficina che strappa i  soldati ai propri cari, e soprattutto di svelare e condannare gli interessi privati che la generano.

10) Si pensi che alla fine dell’Ottocento si riteneva disdicevole per una donna scrivere alla maniera “verista” perché ciò stava a significare che la scrittrice, la donna, conosceva il mondo anche nei suoi aspetti più turpi (citare). Fanny Salazar, nel 1880, viene criticata quando scrive d’igiene (in Manuale di economia domestica) perché tratta la sfera fisica e usa un linguaggio adeguato a ciò, e cioè usa il termine “sensazione” e non più “sentimento” (Santoro 1994). Sulla Margherita, nel 1886, si dileggia la donna che pretende di esercitare l’avvocatura (Santoro 1987b; id. 1990b: La Margherita, in Guida al Catalogo).  E, sull’Almanacco Italiano del 1914, leggiamo in data 16 ottobre: “La corte d’appello si pronuncia contraria all’iscrizione della signorina Labriola nell’Albo degli avvocati”; in data 27 Luglio: “ La corte di cassazione respinge il ricorso di Teresa Labriola per l’esercizio dell’avvocatura”;  in data 19 marzo: “Non è ammesso il concorso di tre signorine a posti di ragioniere all’amministrazione provinciale scolastica di Roma”;  eccetera, eccetera.

11) “<.....> le indagini sulla letteratura e sulla scienza della letteratura possono in certo senso dare per acquisito il bagaglio di nozioni e di informazioni che si posseggono sugli autori (e anche le inchieste psicologiche, psicanalitiche, sociologiche, filosofiche, antropologiche, ecc... ) per poter affermare che l’oggetto della operazione critica é il testo. Questo per gli autori. E per le autrici? Per loro non c’è nulla di scontato, nulla di conosciuto e assodato” (Santoro, 1990d. p. 99).

12) E’ da tener presente che l’attenzione al “paratesto” in questi anni è cosciente. Sommaruga, ad esempio, nella Cronaca Bizantina, specie la nuova serie 1885-86, cambia il rapporto col pubblico: crea cioè la moderna scienza della comunicazione: “il messaggio visivo diviene più importante del testo, la risonanza del dibattito più importante dei suoi contenuti.......La rivista cura il colore della copertina, la scelta della carta etc...” (Asor Rosa-Cicchetti, Roma, in Letteratura italiana, 1989, p. 559. E’ ancora fondamentale, a questo proposito: Genette G. 1989.

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