Crescere

7 Aprile 2017

Crescere

Sapeva che sarebbe successo. Da una vita lo sa. Sarebbe venuto il momento che lui, così bello, amato, protetto, e ricco di prospettive sogni capacità, lui sarebbe andato via.
Anzi, è stata proprio lei a fare sì che lui non nutrisse dipendenza nei suoi riguardi; certo, che nutrisse amorei, ma senza dipendenza.
Lo aveva sostenuto, incoraggiato, spinto quasi. Vai vai vai. Libera ogni grammicino di tua energia di tuo desiderio. Vai. Forse è vero che, per una volta, si avveri il sogno: il mondo è tuo.
Aveva ascoltato sorridendo progetti progressi proposte.
Si era mostrata indaffarata, presa da lavoro, amiche, amici, circondata insomma da altri che pure l’amavano, che avrebbero fatto in modo che lei si sentisse bene, a posto.
Sì, sapeva che sarebbe successo, prima o poi.
Ma poi tutto è avvenuto velocemente.
E’ tornato a casa una sera, sul volto una luce che lei, così, non gli aveva visto mai. L’ha abbracciata: piegandosi ha affondato il viso lì, dove lei possiede il posto più sicuro del mondo per lui, lì, nell’incavo tra collo e spalla.
E’ fatta, ha detto. Come avesse detto tutto.
E’ andato nella sua stanza, si è guardato attorno, subito pensoso. Ha aperto armadio, cassetti, mentre lei lo osservava dalla porta. E lui, distratto, le ha lanciato un’occhiata rapida rassicurante, mentre altre, attente, controllavano e valutavano le cose intorno.
Insomma va via.
In due giorni è tutto pronto: scatoloni, valige, borsoni.
Con amici carica tutto sul camioncino, rapido, essenziale, anche il tavolo da lavoro, la libreria piccola, e poi, naturalmente, libri dischi manifesti e quadri, e chitarre casse giradischi registratore mixer.
E’ vuota ora, la stanza, solo l’armadio, la cassettiera, il letto. Su quello lui dorme ora. E’ quasi l’alba. Tra poco si sveglierà, faranno colazione.
Lei, nei primi chiarori dopo una notte insonne, si ammonisce: non avere occhi sperduti, mani troppo carezzose. Pensa che presto lui farà la doccia, si preparerà, poi si avvicinerà a lei, già sulla porta, già i bagagli caricati, già insomma tutto pronto, e l’abbraccerà ancora. Lei cercherà, questo continua a raccomandare a se stessa mentre si alza, di usare a pieno le proprie convinzioni, la parte razionale e migliore del suo amore, e vincere ancora una volta quella più pudica che certamente, alla fine, vorrà emergere e mostrare l’aspetto più egoista e viscerale, e soprattutto la sempre negata dipendenza, quella che le formicola nelle braccia, nelle mani che vogliono afferrarlo, Resta!
Ora crede di averlo gridato e invece sente la propria voce, allegra, serena, Amore, è ora, e quella di lui, assonnata ma subito memore, Sì, ecco.
Lei va in cucina a preparare e dopo pochissimo lui compare, così bello. Così suo. E in quanto tale vorrebbe difenderlo da delusioni dolori smacchi, e anche dalle smemorate ebbrezze di vittorie, dagli sprechi di sé, dal troppo e dal poco uso di sé, dall’intreccio di presunzione e insicurezza comune a tanti come lui. E dai silenzi, dagli allontanamenti, dalle perdite, dalla consapevolezza che anche lei, lei, non ci sarà più, un giorno.
Lei non ci può pensare al fatto che, inevitabilmente, ci saranno nuovi dolori per lui e un giorno lui sarà solo, senza che ci sia lei vigile ad accoglierlo.
Resta!, vorrebbe urlare, sussurrare, bisbigliare.
Lo sa, è sbagliato: Resta.
Lo abbraccia forte ed è convinta di urlare tutto ciò che le preme, non vuole più controllarsi, vuole dire semplicemente: Resta.
Lo sa che forse potrebbe convincerlo, troveranno un altro modo, è così giovane. E invece sente la propria voce, tranquilla saggia serena tenera, che racconta in modo distratto qualche stupidaggine che le è capitata il giorno prima, e vede lui annuire, rassicurato, eppure, è un attimo, vagamente deluso, Conta dunque così poco per lei?, e intanto versarsi il caffè nel latte, affondarvi con gusto i biscotti, i suoi preferiti.
E’ l’ultima colazione che mi prepari, dice lui, e lei, Già, e tu anche non dovrai più farmi il caffè. E vede lo sguardo di lui farsi vagamente allarmato e allora lei mima con la mano alla fronte una dimenticanza ora ricordata, un pensiero improvviso, e corre in camera. Corre in camera perché d’improvviso le pare di capire che anche lui, anche la parte più fragile di lui, forse, vorrebbe gridare, Fermami, fermami, ho paura, non so se ce la farò, dimmi che ci sei a proteggermi, che.
E’ un attimo. La paura (presunta) di lui vince la paura (reale) di lei. E così l’amore vince. La protezione sta ora nel non proteggerlo, si dice.
Sulla porta gli ultimi saluti, quei grandi abbracci, e poi lui si gira e in un attimo ha fatto la rampa di scale, scompare alla vista, lei sente ancora i passi che vanno attutendosi, quasi dei salti, delle piroette. Lui è felice, lei lo sa. Allora è felice anche lei. Corre alla finestra, la macchina è già lontana e lei non saprà mai se lui si è girato a salutarla o se è affondato nell’abbraccio degli amici che hanno portato via suo figlio.

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